30.10.2014 - Cronaca Meteo
Fenomeni estremi, sono davvero aumentati?

Clima e tempo atmosferico sono i nostri compagni di viaggio quotidiani, una sorta di vestito cucito addosso del quale però, il più delle volte, stentiamo a percepirne il perenne mutamento. Un mondo silenzioso ma inesorabile, che scorre dentro e fuori dalle nostre vite e che si fa sentire solo in occasione di eventi estremi.  Cambiamenti climatici ed eventi estremi: c'è dunque un nesso? Gli eventi estremi stanno davvero aumentando in proporzione alle temperature del Pianeta? La percezione collettiva è quella, tuttavia l’approccio scientifico, pur confermando grossomodo le nostre percezioni, non corre proprio in parallelo. Il dato più saliente, al di là della fredda correlazione matematica tra cambiamenti climatici ed aumento dei disastri, è una evidente modifica a livello statistico della distribuzione temporale dei fenomeni . Cosa significa tutto ciò?

I cambiamenti climatici nell'era post PEG (Piccola Glaciazione 1500-1850 circa), hanno apportato l’impatto più rilevante a carico dell’oceano Artico, dove la banchisa glaciale ha subito evidenti arretramenti, lasciando sempre più spazio alle acque dell’oceano: dove prima c’era una superficie bianca che rifletteva quasi completamente la luce solare (effetto albedo 85%), ora c’è la superficie dell’oceano che ne assorbe il 93%, riscaldandosi e riscaldando l’aria circostante (effetto albedo 7%).

Ma un cambiamento iniziale in un sistema climatico, indotto da una forzante esterna (antropica o naturale che sia), dà inizio ad una catena di eventi che amplificano il cambiamento iniziale stesso. Ciò significa che l’aumento di temperatura non viene solo da cause esterne: la fusione ora diventa a sua volta una causa per il cambiamento di temperatura, che viene indotta ad aumentare ulteriormente: si parla di feedback positivo. Il fenomeno prende il nome di “amplificazione artica“.

Ed eccoci al punto: per il fenomeno dell’amplificazione artica negli ultimi anni è andato diminuendo il delta (la differenza) di temperatura tra l’Artico e le medie latitudini. Ne consegue un rallentamento della velocità media del Getto Polare, ossia di quella cintura di vento che scorre ad alta quota col compito di riequilibrare proprio questo delta termico, con proporzionale amplificazione delle onde planetarie (alte e basse pressioni) a discapito della lunghezza d'onda. 

Ma alte e basse pressioni che rallentano significa che le condizioni atmosferiche ad esse associate tendono a persistere sulle stesse zone per periodi più lunghi (mutamento dei regimi di persistenza). Ecco che lunghi periodi piovosi si alternano ad altrettanto lunghi periodi anticiclonici. Ecco che lunghi periodi più caldi della norma si alternano a periodi più freddi della norma( questi ultimi complessivamente meno frequenti).

Questo nuovo assetto atmosferico,e qui rispondiamo al nostro quesito iniziale, aumenta pertanto il rischio di fenomeni estremi, non tanto per intensità, quanto per la persistenza sui medesimi luoghi per diversi giorni o addirittura settimane. Un nuovo assetto meteo-climatico che implica una presa di coscienza da parte di chi gestisce il territorio. La consapevolezza di doversi adattare sarebbe già un primo passo per dovere temere l’evento estremo ad ogni cambiamento del tempo.

 

Luca Angelini

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