Le Correnti a Getto: Dinamiche Atmosferiche e Impatto Climatico sull’Europa Occidentale e il Mediterraneo

Le correnti a getto, o jet stream, rappresentano uno dei fenomeni più affascinanti e influenti della dinamica atmosferica terrestre. Si tratta di stretti e intensi fiumi di vento che scorrono ad alta quota nella troposfera e nella stratosfera inferiore, con velocità che possono superare i 300 km/h. La loro scoperta, avvenuta in modo significativo durante la Seconda Guerra Mondiale grazie ai voli ad alta quota, ha rivoluzionato la comprensione dei modelli meteorologici globali. Queste correnti non sono solo un elemento distintivo della circolazione atmosferica, ma giocano un ruolo cruciale nella genesi e nella modulazione delle condizioni meteorologiche su vaste aree del pianeta, con ripercussioni particolarmente significative sull’Europa occidentale e sul bacino del Mediterraneo. L’analisi delle loro caratteristiche, delle forze che le generano e del loro impatto è fondamentale per una previsione meteorologica accurata e per comprendere le tendenze climatiche regionali.

  1. Cosa Sono le Correnti a Getto: Definizione e Caratteristiche

Le correnti a getto sono sistemi di vento prevalentemente zonali (ovest-est) caratterizzati da un forte gradiente di velocità, concentrati in bande relativamente strette, tipicamente di alcune centinaia di chilometri di larghezza e pochi chilometri di spessore verticale. Si trovano generalmente tra i 7 e i 16 chilometri di altitudine. Esistono due tipi principali di correnti a getto a scala sinottica nell’emisfero settentrionale (e due nell’emisfero meridionale):

  1. Corrente a Getto Polare (Polar Front Jet Stream – PFJ): Questa è la più rilevante per le medie latitudini. Si trova tipicamente tra i 7 e i 12 km di altezza, sopra il fronte polare, la zona di contatto tra l’aria fredda polare e l’aria calda temperata. La sua posizione e intensità variano notevolmente con le stagioni.
  2. Corrente a Getto Subtropicale (Subtropical Jet Stream – STJ): Situata a latitudini più basse (circa 30° N), ad altitudini maggiori (10-16 km), si forma al limite settentrionale della cella di Hadley, dove l’aria calda tropicale scende dopo essere salita all’equatore.

Entrambe le correnti sono caratterizzate da un andamento ondulatorio, noto come onde di Rossby. Queste onde sono fondamentali perché modulano il trasferimento di calore e umidità tra le diverse latitudini e sono direttamente collegate alla formazione e alla traiettoria delle perturbazioni atmosferiche a scala sinottica, come cicloni e anticicloni. I “lobi” o le anse di queste onde possono estendersi migliaia di chilometri, influenzando il tempo atmosferico per settimane.

 

Le onde di Rossby in una rappresentazione che mostra il jet stream polare e quello tropicale. Notare la direzione dei venti da Ovest verso Est causata dall’effetto Coriolis.
  1. Le Cause delle Correnti a Getto: Un Equilibrio di Forze

La formazione e il mantenimento delle correnti a getto sono il risultato di complesse interazioni fisico-dinamiche nell’atmosfera, guidate principalmente da due fattori: la rotazione terrestre e il riscaldamento differenziale tra l’equatore e i poli.

  1. Riscaldamento Differenziale e Gradiente di Temperatura: La Terra riceve una maggiore insolazione ai tropici rispetto alle regioni polari. Questo crea un significativo gradiente di temperatura orizzontale, con aria molto più calda all’equatore e molto più fredda ai poli. L’aria calda tende a salire e dirigersi verso i poli, mentre l’aria fredda polare tende a scendere e muoversi verso l’equatore. Questa differenza di temperatura guida un’accelerazione dei venti.
  2. Forza di Coriolis: La rotazione terrestre introduce la forza di Coriolis, che devia i corpi in movimento (compresa l’aria) verso destra nell’emisfero settentrionale e verso sinistra in quello meridionale. Mentre l’aria cerca di muoversi dalle zone di alta pressione (più fredde) a quelle di bassa pressione (più calde) e viceversa, la forza di Coriolis la devia progressivamente verso est. A una certa altezza, si raggiunge un equilibrio geostrofico tra la forza del gradiente di pressione e la forza di Coriolis, risultando in un flusso zonale intenso: la corrente a getto.

La corrente a getto polare, in particolare, è strettamente associata al fronte polare, una zona di transizione dove le masse d’aria polare e temperata si incontrano. Il forte gradiente di temperatura su questo fronte alimenta la forza del getto. La sua posizione e intensità riflettono direttamente l’entità del contrasto termico tra queste masse d’aria.

III. Impatto sulla Meteorologia dell’Europa Occidentale e del Mediterraneo

Le correnti a getto esercitano un’influenza profonda e multiforme sulla meteorologia dell’Europa occidentale e del bacino del Mediterraneo, agendo come principali “registi” del tempo atmosferico a queste latitudini.

III.I. Traiettorie delle Perturbazioni e Ciclogenesi

La corrente a getto polare è il principale motore della formazione e della traiettoria delle perturbazioni cicloniche (basse pressioni) e anticicloniche (alte pressioni) che influenzano l’Europa. Le onde di Rossby all’interno del getto creano aree di convergenza e divergenza in quota, che a loro volta favoriscono la genesi e l’approfondimento dei cicloni e degli anticicloni al suolo.

  • Europa Occidentale: Quando la corrente a getto si posiziona sull’Europa occidentale, spesso con una configurazione “zonale” (più piatta e dritta da ovest a est), favorisce l’arrivo di perturbazioni atlantiche, portando tempo instabile, piogge e venti forti, tipici del clima oceanico temperato. La sua esatta traiettoria determina quali regioni riceveranno le precipitazioni più intense e quali saranno riparate.
  • Mediterraneo: La sua influenza sul Mediterraneo è altrettanto critica. Le correnti a getto possono fungere da “binari” per le perturbazioni che dall’Atlantico si dirigono verso il bacino. Quando il getto assume una configurazione “meridiana” (con ampie anse nord-sud), può innescare ondate di freddo dalla Scandinavia verso il Centro Europa o richiamare masse d’aria calda sahariana verso il Mediterraneo meridionale, influenzando significativamente le temperature. I minimi di pressione che si formano sotto il getto possono evolvere in cicloni mediterranei, talvolta con caratteristiche tropicali o sub-tropicali (i cosiddetti “Medicane”), responsabili di eventi meteorologici estremi come piogge alluvionali e tempeste.

III.II. Variazioni di Temperatura e Blocco Atmosferico

La posizione e l’ampiezza delle onde del getto influenzano direttamente le temperature regionali.

  • Un’ampia ansa verso nord (ridge) sul Mediterraneo può portare a periodi di caldo persistente, con rimonte anticicloniche africane che spingono l’aria calda e secca del Sahara verso l’Europa meridionale, causando ondate di calore e siccità.
  • Al contrario, un’ampia ansa verso sud (trough) può consentire a masse d’aria fredda polare o artica di scendere verso latitudini più basse, provocando abbassamenti drastici delle temperature, gelate e nevicate anche a quote basse, eventi non rari durante l’inverno.

Fenomeni di blocco atmosferico sono strettamente legati alle correnti a getto. Questi si verificano quando le onde di Rossby diventano molto ampie e quasi stazionarie, “bloccando” il flusso zonale e impedendo alle perturbazioni di muoversi. Ciò può portare a lunghi periodi di tempo anomalo: settimane di siccità e caldo persistente sotto un anticiclone di blocco o periodi prolungati di piogge e freddo sotto una depressione di blocco. Tali situazioni sono particolarmente dannose per l’agricoltura e le risorse idriche.

III.III. Impatto sulle Precipitazioni e Siccità

L’alternanza tra configurazioni zonali e meridiane del getto ha un impatto diretto sulla distribuzione delle precipitazioni. Un getto zonale sull’Europa porta piogge diffuse e regolari dall’Atlantico, essenziali per il rifornimento idrico. Un getto meridiano, al contrario, può deviare le perturbazioni, causando siccità prolungate in alcune aree e piogge eccessive in altre. Nel Mediterraneo, ad esempio, periodi di getto più settentrionale possono portare a una diminuzione delle precipitazioni invernali, cruciali per la regione. Al contrario, il passaggio di un trough (onda di bassa pressione) sotto la corrente a getto può generare intense linee temporalesche, specialmente in autunno, quando il contrasto tra l’aria fredda in quota e la superficie del mare ancora calda alimenta fenomeni convettivi violenti.

  1. Cambiamenti Climatici e le Correnti a Getto

La ricerca scientifica sta indagando attivamente come i cambiamenti climatici, in particolare il riscaldamento globale, stiano influenzando la dinamica delle correnti a getto. Si ipotizza che il rapido riscaldamento dell’Artico (“amplificazione artica”), riducendo il gradiente di temperatura tra l’Artico e le medie latitudini, possa indebolire la corrente a getto polare e renderla più “ondeggiante” e meno zonale.

Un getto più debole e con maggiori meandri (onde di Rossby più ampie e persistenti) potrebbe aumentare la frequenza e la persistenza di fenomeni di blocco, portando a eventi meteorologici estremi più lunghi e intensi, come ondate di calore, siccità e piogge torrenziali prolungate. Questo scenario avrebbe gravi implicazioni per l’Europa occidentale e il Mediterraneo, intensificando fenomeni già osservati e mettendo a dura prova le infrastrutture, l’agricoltura e gli ecosistemi.

Conclusione

Le correnti a getto sono pilastri della circolazione atmosferica globale, la cui comprensione è imprescindibile per l’analisi meteorologica e climatologica. La loro dinamica, guidata da complesse interazioni tra il riscaldamento differenziale e la rotazione terrestre, modella in modo determinante il tempo atmosferico sull’Europa occidentale e sul bacino del Mediterraneo. Dalla traiettoria delle perturbazioni alla genesi di ondate di caldo o di freddo, passando per i fenomeni di blocco atmosferico e le variazioni nelle precipitazioni, l’influenza del jet stream è onnipresente. Di fronte ai cambiamenti climatici, lo studio di come queste correnti possano alterarsi diventa cruciale per anticipare e mitigare gli impatti futuri sulle nostre regioni. L’accuratezza delle previsioni e la resilienza delle nostre società dipenderanno sempre più dalla nostra capacità di decifrare i complessi messaggi inviati da questi “fiumi” di vento ad alta quota.

Autore: Roberto Pinna

 

Come Leggere una Mappa Barica: Al Suolo e a 500 hPa

La lettura delle mappe bariche è fondamentale in meteorologia. Queste carte, che rappresentano la distribuzione della pressione atmosferica, sono gli strumenti principali per l’analisi e la previsione del tempo. Sebbene le mappe al suolo e quelle in quota (come a 500 hPa) si basino sullo stesso principio, la loro interpretazione differisce a causa dei diversi parametri rappresentati e della fisica atmosferica a quelle altezze.

 

La Mappa Barica al Suolo (Pressione Ridotta al Livello del Mare)

Mappa al suolo che mostra un evidente vortice ciclonico centrato tra la Puglia e l’Albania. (In tedesco il centro della bassa pressione viene indicato dalla lettera T)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mappa barica al suolo è il tipo più comune di carta meteorologica e mostra la pressione atmosferica ridotta al livello medio del mare (SLM, Sea Level Mean). Il parametro principale è la pressione atmosferica espressa in ettopascal (hPa) o millibar (mB).

Elementi Chiave

Sono diverse le informazioni che si possono desumere da una mappa di pressione al suolo. Principalmente è possibile identificare le seguenti caratteristiche:

  • Isobare: Sono le linee che collegano tutti i punti con lo stesso valore di pressione ridotta al livello del mare. Di solito sono tracciate con un intervallo fisso (es. 4 hPa o 5 hPa) .
  • Centri di Pressione:
    • Alta Pressione (H o A, High o Alta): Sono aree con valori di pressione più elevati rispetto all’ambiente circostante, rappresentate da isobare chiuse con il valore più alto al centro. Negli articoli precedenti abbiamo visto che la presenza di un centro di alta pressione può comportare diversi scenari meteorologici:
      • In genere, l’alta pressione (anticiclone) è associata a tempo stabile, cielo sereno e venti deboli, a causa della subsidenza (movimento discendente) dell’aria. In caso di inversione termica (ovvero la presenza di strati d’aria più freddi al soulo rispetto a quote superiori), tuttavia, possono verificarsi, sebbene in regime di alta pressione, fenomeni come la formazione di nebbie, foschie e, più in generale, nuvolosità stratificata alle quote più basse.
      • Nell’emisfero boreale, il vento soffia intorno all’alta pressione in senso orario.
    • Bassa Pressione (L o B, Low o Bassa): Sono aree con valori di pressione più bassi, rappresentate da isobare chiuse con il valore più basso al centro (depressione o ciclone).
      • La bassa pressione è generalmente associata a tempo instabile, nuvolosità e precipitazioni, a causa del sollevamento (moto ascensionale, convettivo) dell’aria.
      • Nell’emisfero boreale, il vento soffia intorno alla bassa pressione in senso antiorario.
  • Gradiente Barico e Vento: La vicinanza delle isobare indica il gradiente barico (la differenza di pressione su una data distanza).
    • Isobare ravvicinate Forte gradiente Vento intenso.
    • Isobare distanziate Debole gradiente Vento debole.
    • Al suolo, il vento interseca le isobare (circa 30° sulla terraferma) dirigendosi dalla zona di alta pressione verso quella di bassa pressione.
  • Fronti Meteorologici: Sulla mappa al suolo sono indicati anche i sistemi frontali, che sono zone di confine tra masse d’aria con diverse caratteristiche (temperatura, umidità):
    • Fronte Freddo (linea blu con triangoli): L’aria fredda avanza e solleva rapidamente l’aria calda. Associato a fenomeni intensi ma di breve durata.
    • Fronte Caldo (linea rossa con semicerchi): L’aria calda scivola sopra l’aria fredda. Associato a nuvolosità estesa e precipitazioni più deboli e persistenti.

 

La Mappa Barica in Quota (500 hPa)

Mappa a 500hPa, che mette in evidenza le correnti in quota (a circa 5000m di altezza) e le isoipse, le regioni con la stessa altezza di geopotenziale, una grandezza legata alla pressione.

Le mappe in quota non usano la pressione come parametro di riferimento diretto, ma il geopotenziale. La mappa a 500 hPa è particolarmente importante perché si trova all’incirca a metà della massa atmosferica (tra 5000 e 6000 metri) e mostra le correnti guida che determinano il movimento dei sistemi di pressione al suolo.

Parametri e Interpretazione

  • Isoipse (o Altezza di Geopotenziale): Sostituiscono le isobare. Sono linee che collegano tutti i punti che si trovano alla stessa altezza geopotenziale (espressa in Decametri, DAM) dove la pressione è di 500 hPa .
    • Alte isoipse (quota elevata del livello di 500 hPa) Alta pressione in quota (Geopotenziale Alto).
    • Basse isoipse (quota bassa del livello di 500 hPa) Bassa pressione in quota (Geopotenziale Basso).
  • Vento Geostrofico: A questa quota, l’attrito con il suolo è trascurabile, e il vento soffia quasi parallelamente alle isoipse (Vento Geostrofico), lasciando l’alta pressione alla sua destra e la bassa pressione alla sua sinistra (nell’emisfero boreale). La sua intensità è determinata dal gradiente del geopotenziale.
  • Strutture in Quota:
    • Promontorio: Un’area di alte isoipse (geopotenziale alto) che si estende verso regioni più fredde (solitamente verso nord). È associato a stabilità e tempo buono in superficie.
    • Saccatura: Un’area di basse isoipse (geopotenziale basso) che si insinua verso regioni più calde (solitamente verso sud), formando una “U” o “V” allungata. È associata a instabilità e al transito di fronti e maltempo.
    • Cut-off Low (Bassa Pressione Isolato – “Goccia Fredda”): Un centro di basse isoipse che si è staccato dalla saccatura principale. Può rimanere stazionario per giorni, causando maltempo persistente.
  • Isoterme: Molte mappe a 500 hPa includono anche le isoterme (linee di uguale temperatura) per identificare l’avvezione termica (trasporto orizzontale di calore):
    • Flusso da Sud a Nord lungo le isoipse Trasporto di aria calda (avvezione calda) Tendenze al tempo più caldo.
    • Flusso da Nord a Sud lungo le isoipse Trasporto di aria fredda (avvezione fredda) Tendenze al tempo più freddo.

L’Interazione Suolo-Quota

La vera chiave per la previsione è l’analisi congiunta delle due mappe. I sistemi di pressione al suolo (cicloni e anticicloni) si muovono principalmente seguendo le correnti guida in quota a 500 hPa. Ad esempio, una depressione al suolo (cattivo tempo) tenderà a spostarsi lungo la traiettoria indicata dalle isoipse a 500 hPa.

Inoltre, la sovrapposizione delle strutture in quota e al suolo è cruciale: il massimo sviluppo di una depressione al suolo avviene quando essa è posizionata sotto una saccatura o una divergenza in quota, il che favorisce il sollevamento dell’aria e l’approfondimento del minimo.

Autore: Roberto Pinna

La Rugiada e la sua Temperatura Critica

Quante volte vi è capitato di svegliarvi una mattina d’estate o di primavera e trovare l’erba del prato, le foglie delle piante o persino il parabrezza dell’auto brillare di minuscole goccioline d’acqua, quasi come se avesse piovuto durante la notte? Quel fenomeno affascinante e silenzioso è la rugiada. Ma cosa c’è dietro a queste piccole perle d’acqua? E perché la “temperatura di rugiada” è un concetto così fondamentale per noi meteorologi e semplici osservatori del cielo?

Cos’è la Rugiada? Un fenomeno tra il vapore acqueo e le superfici

La rugiada non è pioggia che cade dal cielo. È, in realtà, una forma di condensazione che avviene direttamente sulla superficie degli oggetti. Immaginate l’aria come una spugna invisibile, capace di trattenere una certa quantità di vapore acqueo. Più l’aria è calda, più vapore può contenere. Quando l’aria si raffredda, però, la sua capacità di trattenere il vapore diminuisce.

Di notte, specialmente nelle serate serene e con poco vento, il terreno e gli oggetti sulla sua superficie irradiano calore verso lo spazio, raffreddandosi rapidamente. Se queste superfici si raffreddano a sufficienza, raggiungono un punto critico in cui l’aria immediatamente a contatto con esse non riesce più a trattenere tutto il vapore acqueo. Il vapore in eccesso si trasforma quindi in minuscole goccioline d’acqua, depositandosi come rugiada.

La Temperatura di Rugiada (o Punto di Rugiada)

Ed eccoci al concetto chiave: la temperatura di rugiada (spesso chiamata anche punto di rugiada o dew point in inglese). Questa non è semplicemente la temperatura attuale dell’aria, ma è la temperatura alla quale un volume d’aria deve essere raffreddato, a pressione costante, affinché diventi saturo di vapore acqueo.

Pensateci bene: è il “limite” oltre il quale l’aria non può più trattenere il suo vapore in forma gassosa. Una volta raggiunto il punto di rugiada, il vapore inizia a condensare, formando rugiada, nebbia o nuvole, a seconda di dove e come avviene il raffreddamento.

Perché è così importante? La temperatura di rugiada ci dà un’indicazione diretta di quanta umidità è presente nell’aria. A differenza dell’umidità relativa (che è influenzata anche dalla temperatura dell’aria), il punto di rugiada è una misura assoluta del contenuto di vapore.

  • Punto di rugiada alto: Significa che c’è molta umidità nell’aria. Anche un leggero raffreddamento può portare alla condensazione. L’aria è “pesante” e afosa.
  • Punto di rugiada basso: Significa che l’aria è secca. Sarà necessario un raffreddamento molto più significativo per raggiungere la saturazione.

L’Importanza Meteorologica della Temperatura di Rugiada

Il punto di rugiada è uno dei parametri più importanti nei bollettini meteo per due motivi:

  1. Previsione della Nebbia e delle Nuvole: La differenza tra la Temperatura dell’Aria e la Temperatura di Rugiada si chiama “scarto igrometrico” o dew point depression. Quando questa differenza è piccola (es. 2°C ), significa che la saturazione è vicina. Basta un leggero raffreddamento notturno per raggiungere la condensa e quindi la formazione di nebbia o nubi basse.
  2. Stabilità Atmosferica: La temperatura di rugiada influenza la quantità di energia potenziale nell’atmosfera (CAPE). Un alto valore di Temperatura di Rugiada è un ingrediente fondamentale per lo sviluppo di temporali violenti, poiché fornisce abbondante carburante (vapore) per la formazione di grandi nubi ma, di questo, parleremo meglio in un altro articolo.

Autore: Roberto Pinna

Nebbie, nubi basse e inversione termica

In questa pagina ci occuperemo della presenza di nebbie e nubi (per lo più stratiformi) laddove si osserva la presenza di un regime di alta pressione. Siamo infatti normalmente abituati ad associare un bel tempo soleggiato e assenza di nuvole se un vortice anticiclonico si stabilisce sopra le nostre teste. Tuttavia può accadere, specialmente in autunno e in questi giorni di metà Novembre, di osservare una certa nuvolosità (stratiforme di solito) oppure di svegliarci, uscire di casa e trovare un banco di nebbia che aleggia sulle strade delle nostre città.

La formazione di nebbie, foschie e nubi basse (come gli strati) in presenza di alta pressione in autunno è un fenomeno meteorologico molto comune, specialmente in Pianura Padana e nelle valli interne.

Questi fenomeni non sono causati dall’alta pressione in sé, ma dalle condizioni particolari che l’alta pressione (anticiclone) crea negli strati bassi dell’atmosfera, in combinazione con i cicli stagionali autunnali.

Le Cause della Nuvolosità con l’Alta Pressione

Nubi a carattere stratiforme in una giornata autunnale in presenza di alta pressione in Piemonte

Normalmente, l’alta pressione è associata a tempo stabile e soleggiato perché induce un movimento di subsidenza (aria che scende dall’alto), il quale comprime e riscalda l’aria, inibendo la formazione di nubi (in particolare quelle a sviluppo verticale, che richiedono l’ascesa dell’aria).

Tuttavia, in autunno/inverno, lo strato d’aria vicino al suolo può presentare condizioni molto diverse rispetto all’aria in quota:

  1. Inversione Termica
  • Cos’è: L’alta pressione è spesso associata a notti serene e senza vento. In queste condizioni, il terreno si raffredda rapidamente per irraggiamento (rilascio di calore verso lo spazio).
  • Effetto: L’aria a contatto con il suolo freddo si raffredda a sua volta, diventando più densa e pesante. Si crea così una situazione anomala chiamata inversione termica: l’aria fredda e umida rimane intrappolata vicino al suolo, mentre l’aria più calda e secca si trova in quota.
  • Impatto: L’inversione agisce come un “coperchio” che impedisce all’aria fredda, umida e inquinata di mescolarsi con gli strati superiori.
  1. Condensazione dell’Umidità
  • L’aria fredda e intrappolata al suolo, soprattutto nelle pianure e nelle valli dove l’aria stagnante raccoglie umidità (spesso dal suolo o dai bacini idrici), raggiunge facilmente il punto di rugiada.
  • Quando l’aria si raffredda fino al punto di rugiada, il vapore acqueo in essa contenuto condensa in minuscole goccioline d’acqua.
  • Se questa condensazione avviene al suolo, si forma la nebbia.
  • Se avviene poco sopra il suolo, si formano le foschie o le nubi basse (come gli strati), che possono poi dissolversi o diradarsi durante il giorno se il sole riesce a scaldare lo strato d’aria fredda, oppure persistere per giorni interi.

Perché si Formano in Autunno

L’autunno è la stagione ideale per l’inversione termica e la formazione di nubi basse per diverse ragioni:

  1. Notti Lunghe: Dopo l’equinozio, le notti si allungano notevolmente, massimizzando il tempo disponibile per il raffreddamento notturno del suolo per irraggiamento.
  2. Umidità Residua: L’atmosfera contiene ancora molta umidità accumulata durante l’estate e spesso le temperature dell’acqua del mare sono ancora relativamente alte, contribuendo a mantenere un elevato contenuto di vapore acqueo nei bassi strati.
  3. Bassa Inclinazione Solare: Il sole è basso sull’orizzonte e ha meno forza per riscaldare il suolo durante il giorno e “bruciare” lo strato di aria fredda intrappolata, consentendo alle nebbie e alle nubi basse di persistere più a lungo.

In sintesi, l’alta pressione fornisce le condizioni di stabilità (assenza di vento e moti verticali intensi) e cielo sereno in quota che sono necessarie per il forte raffreddamento notturno, mentre l’autunno fornisce l’umidità e le lunghe notti che rendono inevitabile la condensazione e la formazione di nebbie e nubi basse al suolo.

Autore: Roberto Pinna

Cicloni e Anticicloni: I Motori del Tempo Atmosferico

L’atmosfera terrestre è un sistema dinamico e complesso, governato da forze e movimenti che determinano le condizioni meteorologiche che sperimentiamo quotidianamente. Al cuore di queste dinamiche ci sono i cicloni e gli anticicloni, due sistemi di pressione opposti che sono i principali artefici del “bel tempo” e del “brutto tempo”. Comprendere il loro funzionamento è fondamentale per interpretare le previsioni meteorologiche.

La Pressione Atmosferica: La Chiave di Tutto

Per capire i cicloni e gli anticicloni, è essenziale partire dalla pressione atmosferica, che è il peso della colonna d’aria che grava su una determinata superficie. La pressione media a livello del mare è di circa 1013 ettopascal (hPa). Le variazioni di questa pressione sono alla base della formazione dei sistemi ciclonici e anticiclonici.

  • Alta Pressione (Anticiclone): Si verifica quando la pressione atmosferica è superiore alla media circostante (spesso > 1013 hPa). Un’area di alta pressione è definita area anticiclonica o, più semplicemente, un anticiclone.
  • Bassa Pressione (Ciclone): Si verifica quando la pressione atmosferica è inferiore alla media circostante (spesso < 1013 hPa). Un’area di bassa pressione è definita area ciclonica o, più comunemente, un ciclone (o depressione).

Il Legame tra Pressione e Circolazione dell’Aria

La differenza di pressione tra queste aree innesca il movimento dell’aria, che è essenzialmente il vento, che soffia sempre dalle zone di alta pressione verso quelle di bassa pressione. La rotazione terrestre (attraverso la Forza di Coriolis) complica questo movimento, dando origine ai caratteristici moti vorticosi.

L’Anticiclone: Il Regno del Bel Tempo

Un anticiclone è un centro di alta pressione. La sua caratteristica fondamentale è la presenza di moti verticali discendenti (subsidenza).

  1. Formazione e Caratteristiche: L’aria in alta quota si accumula e viene spinta verso il basso (subsidenza). Scendendo, l’aria viene compressa e si riscalda adiabaticamente.
  2. Effetti sulle Nubi: Il riscaldamento riduce l’umidità relativa dell’aria e tende a disperdere o inibire la formazione delle nubi. Le goccioline d’acqua che potrebbero formare le nubi vengono evaporate dalla massa d’aria calda e secca.
  3. Venti: Al suolo, l’aria in eccesso viene spinta verso l’esterno (divergenza) e ruota in senso orario nell’emisfero boreale (e antiorario in quello australe) a causa della Forza di Coriolis.
  4. Tempo Atmosferico: Il risultato è quasi sempre tempo stabile, soleggiato e sereno, con assenza di precipitazioni. In estate, gli anticicloni (come l’Anticiclone delle Azzorre o l’Anticiclone Africano) portano caldo e siccità. Un’eccezione si verifica in inverno, quando la subsidenza può intrappolare l’aria fredda e umida negli strati più bassi, provocando la formazione di nebbie e nebbia alta persistenti, soprattutto nelle pianure.
  5. Temperature: A causa della minore probabilità che si generi nuvolosità, l’irraggiamento causato dal Sole comporta un maggiore riscaldamento del suolo e, conseguentemente, un aumento delle temperature massime. Allo stesso tempo, proprio l’assenza di nuvole comporta un notevole abbassamento delle temperatura durante la notte con un conseguente abbassamento delle temperature minime.

Il Ciclone: L’Arrivo delle Perturbazioni

Un ciclone è un centro di bassa pressione. La sua caratteristica distintiva è la presenza di moti verticali ascendenti (convezione).

  1. Formazione e Caratteristiche: L’aria calda e umida, essendo più leggera, tende a salire (convezione), lasciando al suolo un “vuoto” che si traduce in bassa pressione. Salendo, l’aria si espande e si raffredda adiabaticamente.
  2. Effetti sulle Nubi: Il raffreddamento fa sì che il vapore acqueo contenuto nell’aria condensi, formando le nubi. Questo processo rilascia calore latente, che alimenta il sistema e ne aumenta l’intensità. La formazione di grandi nubi, come i cumulonembi, è tipica.
  3. Venti: Al suolo, l’aria viene richiamata dalle aree circostanti di alta pressione verso il centro di bassa pressione (convergenza) e ruota in senso antiorario nell’emisfero boreale (e orario in quello australe).
  4. Tempo Atmosferico: La bassa pressione è quasi sempre associata a tempo instabile o perturbato, con cielo nuvoloso, venti forti e la probabilità di precipitazioni (piogge, temporali o nevicate).
Figura 1: Schema del percorso delle correnti d’aria in presenza sia di un ciclone che di un anticiclone. Nel caso del ciclone, la bassa pressione al suolo “risucchia” l’aria circostante che converge in una certa regione e sale in quota (convezione), raffreddandosi e condensandosi. Nel caso dell’anticiclone, la stabilità atmosferica impedisce i moti verticali verso l’alto, quindi l’aria fredda in quota sprofonda verso il basso (subsidenza).

 

Figura 2. A sinistra: Zona di alta pressione evidenziata da un buco circondato da nubi dove si manifesta subsidenza atmosferica. A destra: Esempio di ciclone (extratropicale) sull’Islanda, vista dal satellite.

Tipologie di Cicloni e Anticicloni

  • Cicloni Tropicali: Sono i sistemi più violenti (come uragani, tifoni) che si formano sui mari caldi tropicali, alimentati dal calore e dall’umidità dell’oceano. Sono caratterizzati da un occhio centrale relativamente calmo.
  • Cicloni Extratropicali (o “Perturbazioni”): Si formano alle medie latitudini, come l’Italia, e sono associati allo scontro tra masse d’aria fredda e calda lungo i fronti meteorologici (fronti freddi e caldi), portando le classiche ondate di maltempo.
  • Anticicloni Dinamici (o Permanenti): Come l’Anticiclone delle Azzorre, sono generati da moti dinamici della circolazione atmosferica globale e sono più stabili e persistenti.
  • Anticicloni Termici: Sono generati dal forte raffreddamento dell’aria al suolo, tipici delle grandi masse continentali in inverno (come l’Anticiclone Siberiano), e sono generalmente meno profondi degli anticicloni dinamici.

In conclusione, cicloni e anticicloni sono i pilastri della meteorologia. Il loro movimento e la loro interazione, dovuta al tentativo dell’atmosfera di riequilibrare i gradienti di pressione, sono ciò che costantemente modella e modifica le condizioni meteorologiche, portando alternativamente tempo sereno o piogge e tempeste. L’analisi della loro posizione e intensità è il lavoro quotidiano dei meteorologi per prevedere il tempo futuro.

Autore: Roberto Pinna

La Circolazione Generale dell’Atmosfera

Il Motore Invisibile del Clima: La Circolazione Generale dell’Atmosfera

L’atmosfera terrestre è in un perpetuo e complesso stato di movimento. Questo vasto sistema dinamico, noto come Circolazione Generale dell’Atmosfera, è essenziale per la vita sul nostro pianeta, agendo come un gigantesco nastro trasportatore che ridistribuisce il calore e l’umidità tra l’Equatore e i Poli. Senza questa circolazione, le regioni equatoriali si surriscalderebbero progressivamente e le regioni polari si congelerebbero, rendendo la Terra inospitale. Il motore primario di questo movimento è il riscaldamento solare differenziale , ovvero il fatto che l’energia del Sole arriva in modo molto più intenso ed efficace all’Equatore rispetto ai Poli.

Questo squilibrio termico genera un gradiente di temperatura che mette in moto l’aria, cercando di ripristinare un equilibrio termico che, per la rotazione terrestre e altri fattori, non viene mai completamente raggiunto.

Il Modello Semplificato: La Cella di Hadley

Il primo tentativo di spiegare questa circolazione risale al 1735 con il modello di George Hadley. In un’ipotetica “Terra non rotante”, l’aria riscaldata e in espansione all’Equatore salirebbe verso l’alto, creando una zona di bassa pressione al suolo. Una volta in quota, quest’aria calda si muoverebbe verso i Poli, raffreddandosi e diventando più densa. Ai Poli, l’aria raffreddata scenderebbe verso il basso (zona di alta pressione) e tornerebbe all’Equatore a livello del suolo. Si sarebbe così formata un’unica grande cella di circolazione in ciascun emisfero.

Tuttavia, la Terra non è ferma. La sua rotazione è un fattore cruciale che altera radicalmente questo modello semplice, introducendo la fondamentale Forza di Coriolis.

La Rotazione e il Modello a Tre Celle

La rotazione terrestre devia il movimento delle masse d’aria: nell’emisfero boreale (Nord) verso destra e nell’emisfero australe (Sud) verso sinistra. Questa forza, combinata con il gradiente di temperatura, genera il modello più accettato, quello a tre celle di circolazione in ciascun emisfero. Queste celle sono:

  1. Cella di Hadley (0° – 30° Latitudine):
    • È la cella più vicina all’Equatore e la più fedele al modello originale. L’aria sale nella Zona di Convergenza Intertropicale (ITCZ), un’area di bassa pressione quasi costante dove convergono i venti dai due emisferi.
    • In quota, l’aria si muove verso i Poli, ma viene deviata dalla Forza di Coriolis fino a circa 30° di latitudine, dove scende, creando la Fascia Subtropicale di Alta Pressione. Questa discesa è associata a condizioni di tempo stabile e asciutto, luogo di formazione di molti dei grandi deserti del mondo.
    • Al suolo, l’aria torna verso l’Equatore, creando gli Alisei, venti costanti che spirano da nord-est nell’emisfero nord e da sud-est in quello sud.
  2. Cella di Ferrel (30° – 60° Latitudine):
    • Questa cella rappresenta le medie latitudini. A differenza delle altre due, non è primariamente “guidata termicamente”, ma è il risultato dinamico del movimento delle altre celle.
    • L’aria sale attorno ai 60° di latitudine (il Fronte Polare, zona di bassa pressione) e scende a 30° (Alta Pressione Subtropicale).
    • Al suolo, la Cella di Ferrel genera i Venti Occidentali Dominanti (Westerlies), che soffiano da ovest verso est e sono responsabili del tempo mutevole delle zone temperate. Questa cella è spesso debole o poco evidente rispetto al mescolamento orizzontale operato dalle onde di Rossby.
  3. Cella Polare (60° – 90° Latitudine):
    • Questa cella è guidata termicamente, simile alla Hadley, ma in senso opposto. L’aria fredda e densa affonda ai Poli (Alta Pressione Polare), dirigendosi verso l’Equatore al suolo.
    • Incontra l’aria più calda e ascendente al Fronte Polare (60°).
    • Al suolo genera i Venti Polari Orientali (Polar Easterlies), che soffiano da est verso ovest.

Le Correnti a Getto e le Onde di Rossby

A quote elevate (tra i 9.000 e i 15.000 metri), lungo i confini tra le celle di circolazione, si trovano i veri “fiumi di vento” dell’atmosfera: le Correnti a Getto (Jet Stream). La più importante è la Corrente a Getto Polare, che scorre lungo il Fronte Polare tra i 40° e i 60° di latitudine.

Le Correnti a Getto non sono rettilinee; esse si muovono in grandi onde orizzontali e sinuose, chiamate Onde di Rossby. Sono queste onde a determinare il tempo meteorologico delle medie latitudini , consentendo lo scambio di calore:

  • Quando un’onda si spinge verso il polo, trasporta aria calda verso nord (creando una cresta).
  • Quando si spinge verso l’equatore, trasporta aria fredda verso sud (creando un cavo).

Queste onde sono fondamentali perché, di fatto, sono il meccanismo principale per il trasporto di calore dai tropici ai poli nelle medie e alte latitudini, completando l’opera iniziata dalle celle di Hadley e polare.

 

L’Interconnessione Globale

La Circolazione Generale dell’Atmosfera non è un fenomeno isolato: essa interagisce profondamente con gli oceani, formando sistemi accoppiati come El Niño e La Niña, che hanno un impatto sulle condizioni meteorologiche globali. La comprensione della Circolazione Generale è la base della climatologia e della meteorologia, permettendo di comprendere la distribuzione delle zone climatiche e di prevedere, con una certa affidabilità, i modelli meteorologici a lungo termine.

Autore: Roberto Pinna

Comprendere le basi della Meteorologia

Comprendere le basi della Meteorologia

 

La meteorologia è la scienza che studia l’atmosfera e i suoi fenomeni (il tempo meteorologico), con l’obiettivo principale di prevederne l’evoluzione. Comprendere il tempo richiede la conoscenza di alcune grandezze fondamentali e dei principi fisici che regolano il movimento dell’aria e la formazione delle nubi. L’obiettivo di questa pagina è quello di fornire le basi per comprendere i fenomeni che verranno affrontati nelle pagine successive.

  1. Le Grandezze Meteorologiche Principali

L’atmosfera è lo strato gassoso che avvolge il nostro pianeta. Come è noto, è composto da una miscela di molecole di vario tipo tra cui azoto (al 78% circa), ossigeno (al 21% circa) e argon (0.6%).      In percentuali inferiori sono presenti anche vapore acqueo (0.3%) e anidride carbonica (0.04%) che, come è noto, influenzano in modo decisivo le condizioni meteorologiche giorno per giorno. Sono presenti tantissimi altri composti molecolari che fluttuano costantemente in atmosfera ed è impossibile studiare e prevedere il moto di tutte le molecole che compongono l’atmosfera stessa. Tuttavia, per comprendere gran parte dei fenomeni meteorologici, una buona base di partenza richiede la conoscenza di tre grandezze fondamentali: temperatura, pressione e umidità relativa.

  1. Temperatura

La Temperatura misura il grado di agitazione termica delle molecole dell’aria. In meteorologia, è cruciale perché influenza la densità dell’aria e, di conseguenza, il suo movimento verticale. Si misura tipicamente in gradi Celsius (°C) o in Kelvin (K).

  1. Pressione Atmosferica

La Pressione Atmosferica è la forza esercitata dal peso della colonna d’aria su una superficie unitaria. Si misura in Pascal (Pa) o più comunemente in Hectopascal (hPa), equivalenti al millibar (mb).

  1. Umidità

L’Umidità è la quantità di vapore acqueo presente nell’aria. È un fattore chiave per la formazione di nubi e precipitazioni. Si esprime in diversi modi:

  • Umidità Assoluta: è la massa di vapore acqueo per unità di volume di aria.
  • Umidità Relativa: è dato dal rapporto (espresso in percentuale) tra la quantità di vapore acqueo effettivamente presente e la quantità massima che l’aria può contenere a quella specifica temperatura. Quando l’umidità relativa raggiunge il 100%, l’aria si dice che è satura e si ha la condensazione.
  1. I Principi Fisici Chiave

Le grandezze fisiche che abbiamo appena elencato sono coinvolte in numerevoli fenomeni meteorologici. In questa sezione, è importante ricordarne alcuni, i principali, che serviranno per comprendere tutti gli altri argomenti che verranno affrontati nelle pagine seguenti.

  1. Il Gradiente di Pressione e il Vento

Il principio fondamentale che genera il vento è che l’aria si muove sempre dalle aree in cui la pressione atmosferica è maggiore a quelle in cui è minore.

  • Questa differenza di pressione è chiamata Gradiente di Pressione. Maggiore è il gradiente (cioè la differenza di pressione su una certa distanza), più forte è il vento.
  • Il vento è, per definizione, il movimento orizzontale dell’aria che tenta di riequilibrare queste differenze di pressione.
  1. La Convezione Termica

Questo principio si basa sulla relazione tra temperatura e densità: l’aria calda è meno densa e tende a salire, mentre l’aria fredda è più densa e tende a scendere.

  • Quando il Sole riscalda il suolo, l’aria a contatto con esso si scalda, diventa più leggera e si innalza (moti convettivi).
  • L’aria che sale si raffredda e, se satura di vapore acqueo, porta alla formazione di nubi convettive (come i Cumuli e i Cumulonembi).
  1. Condensazione, Evaporazione e Scambio di Calore

I passaggi di stato dell’acqua, come l’evaporazione e la condensazione, sono processi fondamentali che influenzano notevolmente la temperatura dell’aria. Tutto si basa su quello che viene chiamato “calore latente”, cioè il calore che viene assorbito o rilasciato quando una sostanza cambia stato, senza che la sua temperatura cambi immediatamente.

3.1. Quando l’Acqua Evapora: L’Aria si Raffredda

Quando l’acqua passa dallo stato liquido a quello di vapore (evaporazione), ha bisogno di una grande quantità di energia per rompere i legami tra le molecole.

  • Cosa succede: Questa energia viene letteralmente “rubata” sotto forma di calore all’ambiente circostante, che nel nostro caso è l’aria.
  • L’effetto: L’aria che cede calore diventa più fredda.
  • Esempio quotidiano: È per questo che, quando usciamo dall’acqua dopo una nuotata, sentiamo freddo: l’acqua sulla nostra pelle evapora, assorbendo calore dal corpo e raffreddandoci.

3.2. Quando il Vapore Condensa: L’Aria si Riscalda

La condensazione è il processo inverso: il vapore acqueo passa dallo stato di gas a quello liquido.

  • Cosa succede: L’energia (il calore latente) che era stata immagazzinata durante l’evaporazione viene rilasciata nell’aria circostante.
  • L’effetto: L’aria che riceve questo calore si riscalda.

L’Esempio delle Nuvole e dei Temporali

Questo meccanismo è cruciale nella formazione delle nuvole e nell’energia dei fenomeni atmosferici:

  1. L’aria sale e si raffredda: L’aria umida e calda vicino al suolo sale. Man mano che sale, si espande e si raffredda.
  2. Si formano le nuvole: Quando l’aria si raffredda abbastanza, il vapore acqueo in essa contenuto inizia a condensare, formando le minuscole goccioline che vediamo come nuvole.
  3. Il rilascio di calore: Ogni volta che si forma una gocciolina d’acqua (condensazione), viene rilasciato il calore latente nell’aria circostante.
  4. L’aria continua a salire: Questo calore rilasciato riscalda l’aria all’interno della nuvola, rendendola più leggera. L’aria più calda e leggera continua a salire con più vigore, alimentando la nuvola e, nei casi più estremi, trasformandola in un temporale o un uragano. È il calore nascosto rilasciato dalla condensazione a dare energia e forza a questi fenomeni meteorologici.

Conclusioni

In questa pagina abbiamo voluto tentare di fornire qualche strumento per comprendere meglio la meteorologia e le cause dei fenomeni che cerchiamo di osservare tutti i giorni per poter fare delle previsioni. Abbiamo visto che la temperatura, la pressione e l’umidità sono le grandezze fondamentali da osservare per capire “che tempo che fa”. Queste grandezze “interagiscono” tra loro in tantissime modalità e sono responsabili di alcuni fenomeni “chiave” coi quali è possibile spiegare gran parte di ciò che osserviamo in cielo, ovvero:

  1. l’aria si muove sempre dalle aree in cui la pressione atmosferica è maggiore a quelle in cui è minore.
  2. l’aria calda è meno densa e tende a salire, mentre l’aria fredda è più densa e tende a scendere.
  3. Quando il vapore acqueo condensa in goccioline, l’aria si riscalda mentre, quando l’acqua evapora, questa si raffredda.

Autore: Roberto Pinna

Meteorologia dinamica – introduzione parte III

Meteorologia dinamica – Vento geostrofico
di Claudio Giulianelli
A cura di CEMER – Centro Meteo per l’Etruria e Roma

Con queste equazioni semplificate/approssimate avevamo detto di essere in grado di descrivere molto bene il comportamento dell’atmosfera (nota: nella relazione sopra V_H è un vettore di componenti (x,y), non compare per errore il simbolo di vettore sopra la lettera).

Si possono fare ulteriori considerazioni e semplificazioni alle equazioni valide praticamente per ogni tempo senza commettere errori degni di nota. Ma facciamo prima un’approssimazione un po’ più forte e se vogliamo discutibile.Quello che si può dire, guardando l’equazione del vento per il piano, è che le accelerazioni orizzontali in atmosfera sono piccole, abbastanza piccole, e possiamo prenderle per nulle. Se per esempio guardiamo i cumuli viaggiare, vediamo un moto pressoché uniforme, non vediamo le nubi scattare rapidamente come un corridore nel giro di qualche minuto (sempre parlando di cumuli che viaggiano sulla nostra testa, non dei cumulonembi a sviluppo verticale dove le accelerazioni sono molto forti, ma come avevamo già detto non ci interessano). Sulla base di questa osservazione mandiamo a zero il termine di derivata parziale temporale e il termine avvettivo. Abbiamo ottenuto un equilibrio tra forze, chiamato equilibrio geostrofico. In questo equilibrio, il gradiente di pressione è un vettore che punta verso il minimo di bassa pressione, perpendicolare alle isobare, mentre sulla stessa direttrice ma puntando verso l’esterno di un vortice, agisce la forza di Coriolis. In modulo i vettori si eguagliano, come suggerisce la relazione ottenuta. Dunque la soluzione di questo equilibrio ,il vento geostrofico, è un vettore sempre tangente alle isobare ( per costruzione geometrica, se il gradiente di pressione è un vettore perpendicolare alle isobare, e quest’ultimo è perpendicolare al vento, il vento dovrà essere parallelo alle isobare), e dunque il vento geostrofico lo si individua da una mappa di geopotenziale a 500 semplicemente seguendo le linee di geopotenziale. Per le quote inferiori questo non è vero, infatti ci siamo lasciati dietro l’attrito con il suolo. Questo caso verrà ripreso in considerazione alla fine. Da questo momento in poi chiameremo u la componente zonale del vento, v quella meridionale e w quella verticale.

Abbiamo dunque trovato una soluzione alle equazioni, che ci ha fornito il vento e quindi la previsione di tutta la circolazione atmosferica. Purtroppo però quanto abbiamo trovato non è la soluzione più generale possibile, infatti l’approssimazione fatta sopra ha un problema: mandando a 0 il membro di sinistra dell’equazione abbiamo tolto la variazione temporale alle figure bariche in atmosfera. Ovviamente sappiamo che il tempo atmosferico evolve, cambia ogni giorno e quindi questa approssimazione è un po’ drastica. Ma la condizione di equilibrio geostrofico ci sta dicendo appunto che il vento ad un tempo fissato segue le linee di pressione. Per convincerci della validità di quanto visto possiamo pensare appunto a questo equilibrio come ad una soluzione stazionaria dell’equazione di Eulero per il piano. Il membro di sinistra dell’equazione, somma del termine di derivata pariziale nel tempo più termine avvettivo, come al solito può essere infatti riscritto come derivata totale della velocità nel tempo (secondo quanto visto negli articoli precedenti). Cercare una soluzione stazionaria vuol dire porre questa derivata totale nulla (e dunque condizione stazionaria sia nello spazio che nel tempo) . Questa condizione è ben soddisfatta in libera atmosfera e il vento in generale è geostrofico, e dovremo capire cosa ne determina la sua evoluzione nel tempo.Queste sono le equazioni del vento geostrofico, a cui si arriva dopo vari passaggi

Sopra è rappresentato il sistema di riferimento cartesiano utilizzato nella descrizione del problema, e le componenti di omega sugli assi y e z.

Segnaliamo un errore di battitura nei passaggi sopra: davanti il termine 1/rho per la derivata della pressione in x e in y nelle ultime due immagini è presente un segno meno che non dovrebbe esserci.Si è chiamato il prodotto 2*omega*sen(fi) con la lettera f,ed è noto come parametro di coriolis. Si noti che per fare il prodotto vettoriale tra omega e v,le componenti di omega sono state prese sul piano y e z invece che su x e z perchè ci interessava avere un’informazione sulla latitudine (l’angolo fi rappresentato in figura),che varia con la y. Mentre per la velocità si sono prese tutte e 3 le componenti del vento,tra cui la w,la velocità verticale, componente che compare nell’espressione per “i ” ma che abbiamo mandato a zero coerentemente con quanto detto per l’equilibrio idrostatico.Soffermiamoci qua sul vento geostrofico: le equazioni sopra scritte infatti legano il vento ai gradienti di pressione in x e y,ma le variazioni di pressione sul piano per dare un senso a queste equazioni devono essere ad una quota fissata. Inoltre nelle equazioni compare la densità che solitamente non si misura. Si preferisce dunque usare il geopotenziale (indicato con la lettera greca “fi” maiuscolo),definito come il lavoro che bisogna fare per portare una massa d’aria dal suolo ad una data quota z.

Se i valori di pressione a tale quota sono diversi,dovrò fare più lavoro per portare la massa d’aria laddove la pressione è maggiore. In questo modo alla quota z ho dei gradienti di geopotenziale che dunque mi definiscono molto bene il vento geostrofico. Vediamo ora come fare questo cambio di variabile,da pressione a geopotenziale.Osserviamo che la pressione è una funzione del tempo e delle 3 coordinate spaziali. Possiamo dunque scrivere la derivata totale della pressione in questo modo,usando poi l’equilibrio idrostatico ed il fatto che stiamo seguendo linee a pressione costante e dunque dP=0:

mentre posso esprimere in forma differenziale il geopotenziale in questo modo (i seguenti passaggi verranno fatti solo per la coordinata x ma sarà lo stesso per la y)

infine basta sostituire la relazione tra i differenziali di pressione nella relazione col geopotenziale per ottenere le equazioni nella nuova forma

oppure in termini di altezza geopotenziale Z, tenendo conto della definizione, abbiamo ancora

Nelle carte meteo viene rappresentato non il geopotenziale in senso stretto, infatti questa quantità qui usata dimensionalmente è un’energia. Viene usata l’altezza geopotenziale, con la seguente idea: l’energia spesa per portare la massa d’aria dal suolo ad una data quota (che possono essere i 500 hpa) è diversa in ogni punto. Oppure posso dire di fissare l’energia da spendere (per esempio il lavoro che serve per portare la massa d’aria da 1000 ai 500 hpa),ma a cambiare è l’altezza a cui devo arrivare. Laddove ho un’alta pressione avrò un’altezza di geopotenziale maggiore. Quindi guardo la quota isobarica di 500 hpa e vedo l’altezza geopotenziale. Seguire le linee di altezza geopotenziale mi da il vento a tale quota.Ecco evidenziata la situazione in questa carta: le frecce in verde rappresentano il vento, in rosso il gradiente di pressione ed in nero la forza di coriolis, con riferimento all’altezza geopotenziale (colori) a 500 hpa.

Meteorologia dinamica – Introduzione parte II

Ecco il secondo appuntamento con Claudio Giulianelli del CEMER (Centro Meteo per l’Etruria e Roma), il lavoro parte riprendendo le equazioni di Eulero.

Facciamo notare da subito che lo studio dei moti atmosferici su larga scala è un problema a geometria sferica. Questo complica la matematica ed in generale lavoreremo in coordinate cartesiane finchè sarà possibile senza commettere grossi errori. Parleremo dunque di venti “sul piano” x,y invece che sulla sfera.

L’equazione sopra in generale descrive l’evoluzione del campo di velocità nel tempo (derivata temporale, primo termine) e la variazione nello spazio (derivate spaziali, secondo termine detto “avvettivo”), evoluzione che dipende solo dai gradienti di pressione e forze esterne. è il caso per esempio di un fiume che scorre dal monte verso il mare sotto la forza di gravità. L’equazione descrive dunque un semplice trasferimento di materia da un capo all’altro. Dire che questa equazione vale in atmosfera vorrebbe dire allora che, essendo maggiore la pressione alle basse latitudini a quota fissata (l’atmosfera ha un’altezza di scala maggiore. O anche coerentemente con la nostra trattazione delle medio-alte quote, si pensi all’altezza geopotenziale) e minore ai poli, dall’equatore l’aria dovrebbe fluire verso i poli costantemente perchè l’attività convettiva equatoriale porterebbe sempre aria in quota che per il gradiente di pressione si riverserebbe sui poli. L’atmosfera dunque con questa equazione dovrebbe essere tutta concentrata sui poli! Ma non abbiamo sbagliato tutto, piuttosto notiamo che a scongiurare questa situazione ci pensa un’altra forza, che è la forza di Coriolis. Se immaginate infatti il flusso simile a un fiume che scorre dall’equatore al polo, e poi ci mettete la rotazione terrestre, questo flusso da sud a nord prende una componente ovest-est (la direzione in cui ruota un punto sulla superficie terrestre), confinando dunque la massa d’aria intertropicale e mantenendo dunque l’atmosfera più alta all’equatore senza che si svuoti e si riversi tutto sui poli. Come sappiamo una circolazione meridionale su larga scala esiste, infatti si parla di “celle” di hadley,di ferrel,e polare. Si tratta comunque di moti medi decisamente più piccoli di quelli zonali, al punto che sulle carte quotidiane della pressione non si riesce a vederli, ma solo facendo una media dei venti su lungo tempo (settimane).

Dobbiamo allora inserire Coriolis in questa equazione. Infatti l’equazione di Eulero sopra scritta vale in un sistema di riferimento inerziale. La Terra non lo è, e dunque pure se l’atmosfera fosse totalmente ferma, un suo punto qualsiasi avrebbe comunque una velocità angolare Ω di rotazione attorno all’asse terrestre. La velocità di un punto della nostra atmosfera sarà data dunque dalla somma di due componenti, una nel sistema di riferimento della terra Vr, e l’altra è la velocità angolare di rotazione:V=Vr+Ωxr. Nell’introdurre questa informazione nella nostra equazione vettoriale, dobbiamo vedere come riscrivere le accelerazioni, le quali compaiono nell’equazione di Eulero. Dunque dovremo fare la derivata temporale di questa nuova velocità, e la derivata di ognuna delle due componenti ci darà altre due componenti dell’accelerazione: vediamo nel dettaglio cosa succede.

Dell’equazione di Eulero,per comodità riassumiamo il membro di sinistra dell’equazione sotto il segno di derivata totale nel tempo (ricordiamo brevemente che essendo il campo di velocità funzione del tempo e delle tre coordinate spaziali,la derivata temporale totale di V sarà senz’altro la somma di derivate parziali di V rispetto al tempo e alle 3 coordinate spaziali, per maggiori dettagli si veda la parte di fluidodinamica). Lo facciamo anche perchè non ci interessa avere esplicito il termine avvettivo. Quindi l’equazione di Eulero è ora così scritta:

se la V è quella sopra V= Vr+Ωxr, le accelerazioni sono le seguenti:

I primi due termini sono l’accelerazione associata alla velocità Vr, per la quale abbiamo una componente sul sistema di riferimento rotante con la terra e un’altra componente dovuta alla rotazione terrestre (Ωxv). Stessa cosa per l’altra velocità, Ωxr. Anch’essa avrà associata un’accelerazione data dalla somma di due contributi.

Verifichiamo subito che il termine ΩxΩxr è molto piccolo, infatti la velocità angolare di rotazione terrestre è dell’ordine di 10 alla potenza -4, e con r (raggio terrestre) dell’ordine di 10 alla 6 tutto il prodotto è dell’ordine di 10 alla -2. Portiamo questo termine all’altro membro e sommato alla gravità (le due accelerazioni agiscono entrambe lungo z), questa accelerazione viene inclusa in g, come piccola correzione. Il risultato finale è il seguente:

(si è esplicitato il segno meno alla gravità in quanto diretta verso il basso) il termine forzante di coriolis è il 2ΩxV (togliamo il pedice r per comodità sottintendendo che stiamo guardando l’equazione sul sistema di riferimento rotante).

Le nostre equazioni sono quasi riadattate al caso della nostra atmosfera, manca un’ultima osservazione da fare:

in generale nella nostra atmosfera la pressione scende esponenzialmente con la quota, i venti sono prevalentemente sul piano e quindi la colonna d’aria piuttosto stratificata. In sostanza, le velocità verticali sono piccole, ancor più le accelerazioni verticali. Questo non è vero all’interno dei cumulonembi come sappiamo, ma i cumulonembi sono isolati punti della superficie terrestre dove questa condizione non vale, di base l’aria è stratificata, almeno se si guarda la circolazione generale dell’atmosfera. Se dunque prendiamo la terza delle 3 equazioni del vento, possiamo trascurare tutte le accelerazioni verticali: ne viene fuori un equilibrio, noto come equilibrio idrostatico che assumeremo essere sempre valido.

Le equazioni sono ora ulteriormente semplificate:

nell’equazione per la verticale non è stato riportato il termine di coriolis,che come possiamo ben immaginare varia sul piano e non sulla verticale. Questo aspetto sarà più chiaro nel prossimo articolo. La soluzione e discussione dell’equilibrio idrostatico è riportata su un altro articolo.

La relazione che ci interessa dunque è quella delle velocità orizzontali, per studiare la dinamica circolatoria. Guardiamo le due equazioni per il vento in x e y. Notiamo che nel prodotto scalare del vento col gradiente nel termine avvettivo, la velocità verticale compare (ricordiamo che quel prodotto scalare scritto in forma non compatta è una Vx*d/dx+ Vy*d/dy+ Vz*d/dz). Non possiamo trascurare quel pezzo, perchè non è detto che la derivata in z del vento sul piano (indicato col pedice H) sia piccola, potrebbe essere grande abbastanza da rendere la terza componente di quel prodotto scalare grande come gli altri e compensare Vz che è dell’ordine di qualche cm al secondo in una atmosfera stratificata. La derivata del vento orizzontale con la quota, ossia la variazione del vento (sul piano) con la quota, si chiama shear. Lo shear del vento è importante in alcuni fenomeni atmosferici, quando quel termine è grande le celle temporalesche possono essere messe in rotazione con formazione di tornado. Ma lo shear è importante anche in zona tropicale, infatti zone a basso/bassissimo shear (quindi quando il vento varia poco/pochissimo con la quota) sono propense allo sviluppo degli uragani. Da qui partiremo per ricavare importanti elementi di dinamica atmosferica.

A cura di Claudio Giulianelli, Centro Meteo per l’Etruria e Roma.

Meteorologia dinamica – Introduzione

A cura di CEMER – Centro Meteo per l’Etruria e Roma

1) Meteorologia dinamica – Introduzione


31 Dic, 2019
Meteorologia dinamica – Introduzione
di Claudio Giulianelli

Villa San Giovanni in Tuscia (VT), 31 Dicembre 2019 – Lo scopo della rubrica “fisica dell’atmosfera” inaugurato a partire da oggi, sarà quello di spiegare in maniera completa (tramite equazioni matematiche) le dinamiche su larga scala che governano il tempo meteorologico. Gli argomenti saranno affrontati direttamente da un punto di vista fisico-matematico e per poter riuscire a comprenderli appieno è consigliato avere delle basi di calcolo vettoriale, analisi matematica ed equazioni differenziali, seppur non in maniera approfondita. Queste nozioni saranno date per note, anche se una loro breve spiegazione verra data in un articolo a parte di introduzione alla fluidodinamica. Chi leggerà questi articoli avendo fatto un percorso di studi scientifico potrà comprendere bene gli argomenti qui trattati (Fisica, Matematica, Ingegneria in primis) ma le conclusioni saranno sempre tratte alla fine di ogni spunto e, ripeto,  spiegate all’atto pratico, quindi tutti, meteoappassionati e non, potranno comprendere il significato essenziale di quanto verrà qui esposto. Questo approccio alla meteorologia non è affatto diffuso sul web ed in generale nei libri di meteorologia che si possono trovare in giro, di solito molto più discorsivi che formali. Occorrerebbe infatti avere un po’ di conoscenze base di matematica che viene affrontata solo a livello universitario, dunque non è adatta a tutti ed è la via più difficile per giungere alle stesse conclusioni che potreste trovare in manuale di meteorologia “discorsivo”. Perchè allora scegliere questo approccio alla meteorologia?
I motivi ricadono nel fatto che la matematica che useremo ci darà dei risultati indiscutibili, la cui interpretazione non potrà mai essere messa in dubbio da nessuno. Questo vuol dire essere in grado di smentire le tante bufale che girano sul web tra tanti improvvisati meteorologi che hanno affrontato la materia da autodidatti e senza mai argomentare o dimostrare. Solo insistendo in questo modo, per quanto possa risultare difficile, si riescono infatti a capire le motivazioni profonde della dinamica meteorologica, in quanto sarà una teoria che costruiremo passo passo.
Detto ciò, ci si arma di tanta pazienza, e si affronta la meteorologia nel modo migliore possibile, passando tramite la fisica e la matematica.
Il primo passo per affrontare la meteorologia dinamica è quello di scrivere le equazioni del moto per un fluido in generale. Quello che faremo infatti sarà prendere le equazioni universalmente valide per un fluido e riadattarle per il sistema terra, per la nostra atmosfera. Le equazioni in questione che descrivono il moto di un fluido, le Navier-Stokes, sono ricavate in una serie di articoli più generali di fluidodinamica,  Qua saranno riprese e sviscerate nel caso particolare della loro applicazione alla nostra atmosfera.
Le equazioni sono le seguenti:

La loro derivazione è fatta nella parte di fluidodinamica. Noi qui cominceremo a dare significato fisico a tutti i termini di questa equazione.
Notiamo anzitutto che l’espressione scritta è una sola, ma si ricorda che v è un vettore di 3 componenti (la direzione x del vento, ossia quella ovest-est, è chiamato vento “zonale”, la componente y, ossia quella nord-sud, è chiamato vento “meridionale”, la direzione z, ossia quella verticale, è chiamato vento verticale). Dunque questa espressione si può esplicitare in 3 equazioni per le 3 componenti del vento, mentre quella usata sopra è una notazione compatta. Questa complicata equazione non è altro che il secondo principio della dinamica, abbiamo posto un uguaglianza tra forze agenti in atmosfera (gradienti di pressione, attriti e forze esterne) e accelerazione del sistema (nel membro di sinistra abbiamo derivate delle velocità che dimensionalmente sono delle accelerazioni). Per quanto riguarda la massa, stiamo considerando forze per unita di volume, l’unica cosa che ha senso per un gas. Quindi al posto della massa usiamo la densità. Per comodità abbiamo diviso tutto per la densità. Le parentesi al secondo termine, che racchiudono il prodotto scalare tra le componenti del vento e l’operatore di gradiente, vogliono dire che per l’equazione di ogni componente del vento dobbiamo fare la derivata in x, y, e z ognuna moltiplicata per la componente x, y,e z del vento, e sommare questi 3 oggetti. Esplicitiamo l’equazione sopra dunque perchè in qualche caso ci tornerà utile avere le equazioni separate nelle 3 componenti del vento:

le prime 3 sono le equazioni per le tre componenti del vento. Per poter essere risolte al computer (non analiticamente per due motivi: il primo è che sono molto complicate, il secondo è che non esiste una soluzione analitica), vediamo che ci servono altre equazioni per la pressione e la densità. Si introduce quindi la quarta equazione, nota come equazione di continuità o di conservazione della massa, anch’essa non in notazione vettoriale, e per risolvere la pressione è stata introdotta l’equazione di stato dei gas perfetti. Purtroppo però quest’ultima dipende da un’altra incognita che è la temperatura, quindi viene introdotta l’ultima equazione nota come equazione del calore, espressa in termini di theta ,la temperatura potenziale, dove Q sono le sorgenti di calore (d’ora in avanti useremo la temperatura potenziale, la quale sarà spiegata in un altro articolo e perchè la utilizziamo al posto della temperatura). Questo set di 6 equazioni in 6 incognite (le 3 componenti del vento, densità, pressione e temperatura) può essere risolto e ci fornisce le previsioni.
Cominciamo subito col notare che nelle 3 equazioni del vento, per la componente verticale abbiamo posto la gravità come forza esterna (l’ultimo termine delle equazioni del vento, dove g è un vettore di componenti (0,0,-g)), mentre nessuna forza esterna sul piano x,y. D’ora in poi questo sarà sempre vero. Al riguardo ci si potrebbe divertire a cercare altre soluzioni a queste equazioni, se per esempio uno volesse mettere le forze elettromagnetiche come forze esterne (per esempio in una soluzione di acqua e sale). Facciamo immediatamente un’altra considerazione: il problema dell’attrito (il penultimo termine delle equazioni del vento, con “nu” viscosità del fluido che moltiplica la derivata seconda della componente del vento). Per quello che si legge spesso sul web, l’attrito è usato come capro espiatorio per tutti i problemi relativi alla meteorologia. In realtà la nostra atmosfera è uno dei fluidi in cui l’attrito non ci rovina tutto e possiamo dunque fare una trattazione fisico-matematica molto buona di vari fenomeni meteorologici. Se si pensa a cos’è l’attrito di un fluido questo aspetto si chiarisce subito.
L’attrito è un qualunque tipo di forza che cerca di ostacolare il moto, frenandolo. Di solito quando si pensa all’attrito si pensa al trascinamento di un oggetto su una superficie ruvida. In realtà se si osserva il nostro termine di attrito compare il coefficiente di viscosità. Quindi la viscosità del fluido è un’altra forma di attrito, infatti nei fluidi ad ostacolare il moto è anche l’interazione che può esserci a livello chimico tra le molecole e le forze elettrostatiche che cercano di tenerle insieme. Queste forze di coesione per esempio sono ben più forti in acqua, tanto che alcuni piccoli insetti riescono a poggiarvisi sopra senza affondare e bagnarsi. Se si pensa ad un gas ,lo immaginiamo come una nuvola di particelle dove ognuna corre per i fatti suoi e le interazioni avvengono solo per urti. Questo vuol dire che se al suolo è presente un effetto di attrito per sfregamento (il vento contro i rilievi, analogamente al trascinamento di un oggetto su una superficie ruvida), le alte quote risentono in minima parte degli effetti del suolo (alla fine quantificheremo questi effetti), infatti i venti alle alte quote sono piuttosto forti e il moto disordinato degli strati inferiori dunque rimane per lo più confinato alle basse quote. La viscosità dell’aria è davvero bassa (dell’ordine di 10 elevato alla -7 e fino a 10 alla -9 nella zona di nostro interesse,ossia la medio -alta troposfera) e dunque gli strati superiori di atmosfera non risentono di ciò che succede sotto nell’immediato e sono liberi di muoversi per i fatti loro. Anche senza questo ragionamento, il solo fatto che la viscosità sia un numero così piccolo ci porta a conclusione che il termine di attrito viscoso può essere preso nullo, trascurato rispetto agli altri termini dell’equazione. Ovviamente per le basse quote un termine di attrito col suolo va preso in considerazione, e verrà discusso alla fine. Infatti per quanto detto, possiamo concludere che gli effetti dell’attrito sono trascurabili già in medio-alta troposfera almeno su scale temporali dell’ordine di alcuni giorni. Siccome a noi interessa la dinamica atmosferica in libera atmosfera, togliamo l’attrito. E anche questo sarà vero per quasi tutta la nostra trattazione che si occuperà sempre della libera atmosfera. Solitamente l’attrito risulta trascurabile fino ai 500 hpa nel breve termine, ed è per questo che risulta una importante quota, tale da essere presa come riferimento assieme alla pressione al suolo nelle mappe meteorologiche.
Concludiamo dunque, per il momento, che il nostro punto di partenza saranno le cosiddette equazioni di Eulero (Navier-Stokes senza attrito) riscritte per l’atmosfera:

Queste andranno ulteriormente modificate e approssimate per ritrovare alcuni elementi di dinamica atmosferica.

Associazione MeteoNetwork OdV
Via Cascina Bianca 9/5
20142 Milano
Codice Fiscale 03968320964