A cura del Comitato Tecnico Scientifico
Come prospettato in sede di Outlook invernale, il riscaldamento maggiore di tipo split è stato conclamato ad inizio gennaio e sta condizionando la circolazione stratosferica del vortice polare fino alle basse quote. (fig. 1)
Pochi giorni prima tuttavia, una forte dislocazione del vortice polare su tutti i piani stratosferici ad opera della prima onda, aveva portato al superamento dei valori di soglia previsti da letteratura per conclamare un evento stratosferico maggiore.
Un originario disturbo troposferico piuttosto rapido si è concretizzato con un distacco di un nucleo di aria artica dalla Groenlandia che, con direttrice sud-sud-est, ha raggiunto il suo target proprio in queste ore sul Mediterraneo orientale, dopo essere transitata tra il Mar Adriatico e i Balcani.
Il riscaldamento maggiore di tipo split che, verosimilmente è andato successivamente a dar manforte (quale effetto indiretto) a tale dinamica, ha avuto facile ragione di un vortice polare stratosferico che si trovava molto allungato e dislocato sul Nord Atlantico con asse maggiore tra Canada orientale ed Europa.
E’ oggi del tutto evidente che la caratteristica peculiare che sta presentando, sia una propagazione limitata alle regioni polari e subpolari. (fig. 2)
Infatti la compressione verso la troposfera del riscaldamento stratosferico, che sembra dover mantenere il vps alla quota principale di riferimento ancora per almeno 10 giorni in condizioni di split (sulla base dell’analisi odierna dei centri di calcolo ecmwf), si è limitata ad oggi ai 70°N con il risultato di creare, anziché un blocco alla circolazione zonale fino almeno ai 40°N, una sostanziale divisione alta a bicella.
Oggi infatti la separazione delle masse artiche del vortice troposferico avviene sulla base di una ripartizione al di sopra di ciascun oceano (Pacifico ed Atlantico – fig. 3).
Paradossale agli occhi di molti ma reale il rinforzo della corrente a getto polare che risulta mediamente più bassa di latitudine rispetto il suo normale percorso ma non abbastanza da essere costretta a divergere e a scorrere fino alle latitudini subtropicali (portando quindi a NAO negativa).
Il gradiente termico infatti risulta ancora marcato appena al di sotto della posizione fisiologica della cella polare e questo crea una netta divergenza dei flussi di calore che al momento non sono in grado di strutturare onde di Rossby tali da modificare la circolazione atmosferica la quale assume quindi carattere prevalente di zonalità media.
Quali le cause di questo comportamento?
Si possono avanzare alcune ipotesi una delle quali poggia sull’anomalia che presenta ancora oggi e in prospettiva a lungo termine questa dinamica split.
Anomalìa che si concretizza nel ritardo nella ricostituzione del vps secondo i canoni ordinari presenti in letteratura ovvero dalle quote più alte della stratosfera che pare limitata e sostanzialmente stazionaria tra 1 e 5 hpa.
Infatti la ricostituzione del vps dopo il breakdown avviene a causa del rapido raffreddamento radiativo in alta stratosfera e l’embrione del nuovo vps si genera solitamente dal lobo eurasiatico mentre quello americano viene sostanzialmente distrutto.
In questo processo di ricostruzione si rigenerano gradualmente i nuclei di vorticità potenziale (epv) che conferiscono moto zonale ai piani inferiori (che è lo strumento propagativo verso il basso del MMW e contestualmente di riassetto dei piani superiori che vanno a forzare verso il basso la traslazione del disturbo).
Se, limitandoci a 10 hpa, osserviamo lo stato del vps, notiamo che le epv residue sono principalmente concentrate nel comparto americano mentre l’altro lobo è ancora praticamente inesistente. (fig. 4)
La natura del tutto particolare di questo evento è ravvisabile, tra gli altri parametri, anche dallo stesso assetto delle epv che si presenta antitetico tra i piani in occasione di questa seconda bilobazione, laddove a partire dalla media stratosfera riscontriamo una concentrazione quasi interamente a carico del lobo siberiano.
Questo, riteniamo, sia avvenuto a causa della genesi del Major Midwinter Warming il quale ha avuto inizio con caratteristiche più assimilabili ad un displacement anche se poi sfociato inconfutabilmente, in base alle dinamiche successive, in uno split.
Riteniamo che questo sia alla base delle difficoltà propagative del disturbo che ancora oggi riscontriamo in prospettiva in quanto il segnale risulta decisamente frammentato e “a corrente alternata”,come dimostra lo stesso andamento dei flussi di calore ancora attivi e in rinforzo al limite della tropopausa in corrispondenza di un calo già ben avviato in medio alta strato.
La propagazione infatti non opera in modo selettivo come vi fosse un interruttore on/off a comandarla.
Effetti seppure indiretti della propagazione polare, come già precedentemente accennato ad inizio analisi, possono infatti estendersi nella sinottica troposferica come si ravviserebbero nella dinamica di distacco di un nucleo groenlandese che dopo aver imbiancato in Adriatico, ha portato un’anomalia termica notevole sui Balcani, flagellando l’Egeo e sotto i 35°N della Cirenaica e delta del Nilo, con successivo target su Israele e Giordania.
La stazionarietà almeno ad oggi di questa situazione in cui il getto ha già creato un suo alveo sulla parte orientale dell’Europa, non rende agevole formulare un’ipotesi di tempistica di propagazione diretta del disturbo bensì costringe a dover verificare lunghi tempi di attesa, certamente diversi rispetto quelli a suo tempo pronosticabili.