Andamento pluviometrico in Puglia nel 2020

L’anno volge al termine e il ritorno della stabilità atmosferica ci consente di poter tirare le somme sull’andamento pluviometrico del 2020, un anno indimenticabile per ragioni ben lontane dal mondo della meteorologia.

Come già fatto in passato, abbiamo scelto di campionare varie stazioni meteorologiche di rilevamento che potessero soddisfare alcuni requisiti fondamentali: copertura del territorio, rappresentatività delle principali aree microclimatiche pugliesi e della distribuzione dei fenomeni nel corso del 2020. In tutto abbiamo preso in esame 23 località monitorate da decenni dalla Protezione Civile regionale, ma in due casi, a causa di malfunzionamenti della strumentazione, abbiamo ritenuto opportuno prendere come riferimento i dati raccolti dalla rete MeteoNetwork.

L’analisi dei dati lascia evincere a livello generale un buon andamento pluviometrico. Facendo una media regionale delle precipitazioni cadute negli ultimi 12 mesi, si riscontra una media del 98% rispetto all’andamento climatico di riferimento. Tuttavia, è importante precisare che un territorio particolarmente vasto ed eterogeneo come quello pugliese e fortemente condizionato dall’orografia delle aree geografiche circostanti , difficilmente potrà restituire dati omogenei da nord a sud. Suddividendo i dati a livello provinciale si rilevano infatti valori nella media sulle province settentrionali, sopra media su quelle centrali e al di sotto della norma su quelle meridionali.

Analizzando i dati più nel dettaglio, si possono evidenziare tre rilevanti fasce di andamento pluviometrico: una con precipitazioni al di sopra delle medie climatiche che si estende lungo tutte le zone interne centro-settentrionali, su Subappennino, Tavoliere, Tarantino occidentale e tutta l’area murgiana; una con precipitazioni grossomodo nella media riguardante parte del Gargano e i settori costieri di BAT e medio-alto Barese e il Capo di Leuca; una terza con andamento più critico, a causa di piogge più avare su alto Foggiano e medio-alto Salento.

Tra le 23 località prese in esame spiccano i dati fortemente positivi di Foggia (123%), Altamura (130%) e Taranto (121%), e quelli ampiamente negativi di Lesina, Brindisi, Lecce e Gallipoli, con particolar riferimento a queste ultime due che hanno chiuso l’anno con precipitazioni di poco sopra la metà della media annuale.

 

Terminiamo, infine, questa breve analisi con uno sguardo sullo stato di salute dei nostri invasi che, rispetto all’andamento dei mesi precedenti, hanno dimostrato un buon recupero di risorse idriche grazie alle abbondanti precipitazioni che hanno interessato le relative zone. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, difatti, ieri si rilevava uno scarto medio di 24 milioni di mc di acqua con un recupero di circa 70mln di mc rispetto alla prima settimana di novembre.

 

Lo Staff

Andamento pluviometrico in Puglia: gennaio-ottobre 2020

Terminato ottobre, con un’altra giornata stabile e soleggiata, possiamo approfittarne per fare il punto della situazione sull’andamento pluviometrico in Puglia in questi primi 10 mesi dell’anno.

Abbiamo considerato un campione di 18 località distribuito in maniera più o meno regolare sul territorio regionale, prendendo come riferimento i dati campionati dalla Protezione Civile, ad eccezione delle stazioni di Vieste e Lecce riportanti un campione incompleto, per tale ragione abbiamo preferito sostituirlo con i dati della rete MeteoNetwork, campionati al 100% dal primo gennaio (stazioni pgl019 e pgl040).

Complessivamente a livello regionale le piogge misurate da inizio anno sono risultate moderatamente al di sotto delle medie climatiche di riferimento, coprendo circa l’87% della media storica. Le precipitazioni più frequenti e consistenti hanno interessato in particolar modo i settori centrali e settentrionali pugliesi, superando la soglia del 90% della media storica nelle province di Taranto e Foggia, raggiungendo il 95% nel barese e il 99% nella BAT. Meno precipitazioni, invece, sulle province meridionali con valori del 77% nel brindisino e del 71% nel leccese, risultando quest’ultima la provincia con meno piogge della regione da inizio anno.

Tuttavia un territorio così vasto e disomogeneo orograficamente non può prescindere da un livello di dettaglio ancor più approfondito. Delle 18 località da noi campionate lo scarto positivo maggiore riguarda Foggia (122% rispetto alla media storica) e Altamura (126%), mentre la maggiore penuria di fenomeni sta interessando Lesina (68%) e Lecce (60%), quest’ultima già reduce da un 2019 decisamente avaro di piogge (circa il 70% della media annuale). I restanti dati sono consultabili nella seguente tabella.

andamento pluviometrico gennaio-ottobre 2020 e confronto con media climatica

Lo Staff

Cibo e clima: il paradigma di Slow Food

«Una delle prime cause del cambiamento climatico è il sistema alimentare, in cui l’agricoltura, la produzione alimentare, il trasporto e la commercializzazione consumano più energia proveniente da carburanti fossili di qualsiasi altro settore industriale». Questo è uno degli assunti principali del Documento di Posizione pubblicato da Slow Food insieme agli appelli per la policy making delle Cop21 di Parigi, 22 di Marrakech e per l’imminente Cop23 di Bonn. E questo è anche il nucleo di uno studio che sarà presentato a breve da Slow Food sotto la direzione del meteorologo e climatologo Luca Mercalli.

 

Jacopo Ghione, Slow Food

Ne abbiamo discusso con Jacopo Ghione, responsabile dei progetti internazionali di Slow Food, dirigente del progetto Arca del Gusto e coordinatore delle campagne Slow Meat e Clima per la fondazione Slow Food per la biodiversità: «Slow Food si impegna da sempre contro la perdita di biodiversità vegetale e animale, le monocolture, l’agricoltura industriale. Abbiamo scelto di affrontare concretamente il tema dell’emergenza sul clima, preoccupati dalla velocità con il quale avviene il cambiamento. Abbiamo deciso di fare attenzione alle interazioni tra clima e sistema alimentare. Non da un punto di vista scientifico, perché non siamo scienziati, ma tenendo in considerazione tutta la letteratura prodotta su questi argomenti e valutandoli dal punto di vista della produzione alimentare e di tutta la sua filiera».

Il 30 per cento delle emissioni di gas serra proviene dai processi per la produzione del cibo e dalla polluzione animale: «Il sistema è quindi vittima, ma anche causa del cambiamento climatico. Non solo. Noi pensiamo che possa anche essere parte attiva della soluzione: Lo studio che presenteremo con Mercalli affronterà proprio alcune di queste soluzioni. Siamo partiti da una vasta letteratura sul tema per proporne le migliori. Penso ai principali impattanti sull’ambiente, come l’uso di derivati del petrolio per i diserbanti. Quello a cui ci siamo paurosamente abituati è un sistema con troppe macchine, un sistema energivoro, che provoca anche un grande spreco di acqua».

«Bisogna lavorare a un modello valido per l’ambiente e per il sociale, vogliamo dire basta alle condizioni dei piccoli produttori, costretti a sottostare ai colossi, con un meccanismo che permette a mere dinamiche di mercato di fare il prezzo. I costi di questo sistema ricadono sulla salute di tutti».

Cosa fare per contrastare questa deriva? «Lavoriamo con i produttori per aiutare e tutelare prodotti a rischio scomparsa, per esempio. E dobbiamo comunicare per sensibilizzare le persone e arrivare al colloquio con gli autori del policy making. Occorre mantenere uno sguardo d’insieme, tenere in considerazione tutta la filiera. Il sistema dei trasporti, quello energetico, l’industria».

La parola chiave può essere “resilienza”? «La resilienza deve essere la qualità principale di quello che chiamiamo “Sistema agroecologico”, che deve contrastare l’attuale sistema industriale. Pratiche agroecologiche ci permettono di lavorare per ridurre le dipendenze dalle fonti fossili, valorizzando le varietà vegetali, tutelando le biodiversità. Produrre un impatto inferiore come risposta alla produzione industriale, salvaguardare le razze autoctone, effettuare una buona gestione dei pascoli, facendo attenzione a un allevamento sostenibile, attento a tutti i dettagli, compresa la gestione dei reflui».

Un cambiamento di paradigma necessario prima dell’apocalisse energetica e ambientale? «È necessario cambiare paradigma per la distribuzione e il consumo, favorire la filiera corta, il consumo critico, l’agricoltura locale. Tornare a rispettare la stagionalità dei prodotti. Non ci concentriamo su un solo aspetto, del tipo:” mangiamo meno carne e più verdure”. Vogliamo presentare un approccio olistico».

Nello studio che presenterete con Mercalli si leggerà del vostro approccio

Esempio della collaborazione tra IndACo e Slow Food

alla conferenza sul clima di Bonn? «Sì, c’è lo studio della letteratura e l’analisi delle relazioni tra cibo e clima. Abbiamo studiato come il cibo subisce un cambiamento in base ai diversi fenomeni come la migrazione climatica, che è un problema sociale di portata mondiale, perché le zone a rischio so già colpite da povertà e malnutrizione. E non hanno grandi responsabilità contro gli sprechi. Potremmo sfamare tutto il pianeta senza produrre di più perché siamo di più, ma cambiando paradigma».

E questo sistema funziona? Proponete dei casi di studio? «Lavoriamo da anni con il progetto IndACo (indicatori ambientali e CO2) del Centro Studi UniSiena dell’Università di Siena. Loro calcolano diversi parametri come la carbon footprint dei prodotti aderenti alla nostra filiera e li paragonano ad altrettanti prodotti di marchi della produzione industriale. L’impatto dei nostri prodotti è sempre minore».

 

Intervista di Andrea Aufieri

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