Aaah … se solo fosse successo in pieno inverno

Parlando di tempo, del più e del meno, capita spesso di leggere o sentir dire qualcosa del tipo “Pensa se tutta questa pioggia fosse arrivata in pieno inverno! Sarebbe stata una gran bella nevicata!”. Oppure “Con quest'alta pressione a gennaio ci sarebbe stato il gelo vero”, e altro ancora.

Tendiamo, insomma, a fare paragoni e confronti fra periodi dell'anno con la stessa configurazione di alte e basse pressioni con una certa naturalità. Ma non ci rendiamo conto che in verità non sono confronti possibili, o comunque non hanno ragione di essere.

Prendo ad esempio il rinforzo del vento previsto sul Centro-Sud Italia nella giornata di domani.
Il tutto nasce dal lago di aria fredda che in questi ultimi 5-7 giorni si è formato sui Balcani per effetto di una profonda bassa pressione alimentata da aria strappata via dall'Artico. 
Adesso questa bassa pressione si è dissolta, e oggi ce ne siamo resi conto anche dall'attenuazione del vento. Ma il lago freddo sui Balcani è rimasto! E vicino – tra l'Adriatico, il Tirreno, l'Egeo e l'aperto Mediterraneo – ci sono mari ancora tiepidi, se non caldi, sovrastati da aria carica di umidità!
Il contrasto tra terraferma e mare insomma c'è, e non potrà che portare al travaso dell'aria fredda verso le zone con pressioni più basse, in mare aperto.
Ecco quindi spiegato il ritorno del vento tra domani e sabato.

Viene da pensare, intuitivamente, che una situazione del genere in pieno inverno avrebbe portato probabilmente al vero e proprio gelo: i Balcani sarebbero infatti stati coperti dalle nevicate dei giorni precedenti, e le raffiche in arrivo da laggiù avrebbero pilotato verso di noi l'aria stabile e ghiacciata che si sarebbe formata a ridosso del suolo.
Sì, ok. Ma … peccato che il vento forse sarebbe stato ben più fiacco, se non del tutto assente!
Il mare infatti sarebbe stato ben più fresco di adesso, e l'aria ben più asciutta per la minore evaporazione dalla superficie. Insomma, come risultato contrasti più fiacchi, e di fatto pochi effetti sull'Italia.

Questo è un esempio, ma se ne potrebbero fare molti altri già incontrati su blog, social e quotidiani.
Quindi l'invito che faccio è: abituatevi ad adattare considerazioni del genere al periodo dell'anno cui vi riferite.

Ok, Gonzalo non esiste più. Però …

… però come sempre accade al passaggio di una depressione che ha attinto da un ex uragano c'è quella stilla di energia in più che fa la differenza.

Ciò che voglio dire è che larga parte del forte vento atteso tra mercoledì e giovedì sull'Italia sarà dovuto alla grande differenza di temperatura che si verrà a creare tra il Mediterraneo ancora caldo e l'aria artica strappata dal vecchio ciclone durante il suo passaggio ad alte latitudini, MA sono convinto che alcune raffiche supereranno le stime attendibili dalla valutazione dei gradienti di pressione, temperatura e umidità previsti.

Lo dico per esperienza: sin da quando ero bambino ho seguito con attenzione la traiettoria di perturbazioni del genere, e in ogni occasione – nel momento in cui il fronte arrivava nella zona dove mi trovavo – ho sempre avvertito una differenza evidente rispetto alle perturbazioni classiche: in termini di velocità delle raffiche più forti, di improvvise e apparentemente ingiustificate rotazioni del vento, di eventi più complicati da descrivere ma legati a convezione non profonda.
Tutti episodi isolati, di breve durata. Ma chiari.

Insomma, il vento portato da queste perturbazioni è spesso più turbolento e a strappi rispetto a quello che ci si aspetterebbe con una depressione extratropicale classica: è capace di alternare momenti di calma apparente a raffiche il doppio più veloci del vento medio atteso (se non di più).

Nessun allarme ingiustificato: ci mancherebbe.
Tuttavia è bene anche non esagerare nel sottovalutare e umiliare questi eventi, in quanto possono insegnarci qualcosa di nuovo e, soprattutto, possono portare dei danni nelle aree più esposte (al Maestrale e il Foehn, nel caso di mercoledì prossimo) non valutabili con la mera lettura delle mappe.

Il temporale genovese: come funziona

L'alluvione di Genova fa notizia, non tanto per l'evento in sé, quanto per la curiosa insistenza di un temporale in una zona così ristretta e per così tanto tempo.
E' in effetti un qualcosa di raro, per fortuna; tuttavia è sufficiente mettere assieme una certa quantità di ingredienti per ottenere come risultato proprio quello che sta succedendo in Liguria centrale.

Genova è una città particolarmente esposta a questo tipo di temporali, ma ci sono anche altre zone d'Italia che di quando in quando rischiano piogge alluvionali su fasce molto ristrette.
Innanzitutto infatti occorrono montagne (o comunque colline piuttosto alte) subito a ridosso del mare. Questo è l'ingrediente base, ma è ancora meglio se sul versante opposto delle montagne c'è una qualche vallata dove possa accumularsi aria fresca e stabile.
Fatto questo bisogna mettere il carburante, ossia l'aria calda e umida che arriva con lo Scirocco dal mare aperto, assieme ad un vento piuttosto forte ad alta quota.

Adesso siamo pronti a capire il meccanismo di formazione di questi temporali.
Si parte con lo Scirocco che – dopo un lungo peregrinare – arriva a ridosso della costa; qui incontra subito le colline e le montagne, e quindi è costretto a salire. Tutto il suo carico di vapore acqueo, ancora intatto, condensa in nuvole, dapprima magari stratificate, fiacche, poco consistenti; poi grazie al continuo pompaggio di aria calda in basso e quindi al fatto che l'aria si fa sempre più instabile le nuvole crescono sempre più in alto assumendo la forma di cumuli e cumulonembi.
A questo punto partono i primi acquazzoni, di solito sul costone della collina o della montagna.

Lo scroscio di pioggia rovescia con sé aria più fresca, che arrivata sul suolo pendente del costone scivola di nuovo verso il mare, dove incrocia lo Scirocco umido e caldo che intanto continua a soffiare in direzione della costa. L'aria fresca in arrivo dal pendio è più densa, pesante, e quindi solleva quella più mite e umida dello Scirocco forzandola a formare un altro cumulo che – se l'aria è sufficientemente instabile – diventa subito un altro cumulonembo.
Intanto il primo scroscio, a causa del vento forte in quota, è stato portato via verso le cime montane e poi il versante sottovento, dove si esaurisce completamente dissipandosi con calma; il secondo cumulonembo inizia a fare il suo dovere, provocando lo scroscio d'acqua sul costone, stavolta però più vicino al mare rispetto al primo, se non addirittura sulla costa.
Di nuovo, l'aria fresca rovesciata dal temporale ruzzola giù per il pendio fino al litorale e stavolta – non trovando inizialmente lo Scirocco a murarlo – fino a qualche centinaio di metri al largo. Qui incontra di nuovo l'aria calda e umida, forzandola a formare un terzo cumulonembo, che seguirà la via dei precedenti due.
Ecc. ecc. …

Questa catena, una volta innescata, può appunto durare per ore, se non giorni.
Ogni cumulonembo nasce, cresce e si dissipa in 20-30 minuti, ma nel contempo un altro nasce a ridosso della costa o in mare aperto.
E la catena si ferma solo se passa un fronte freddo che quindi blocca lo Scirocco, tagliando il carburante ai nuovi cumulonembi; oppure se il vento in quota cambia forza o direzione, portando ad esempio gli acquazzoni a rovesciare aria fresca troppo a ridosso dell'alimentazione calda del temporale, tagliandola e provocando un “intaccamento” continuo della catena, che poi si rompe completamente in poche decine di minuti.

Le montagne attorno a Genova hanno una particolarità che le rende particolarmente attraenti per i temporali di questo tipo: subito a ridosso hanno la Pianura Padana, un enorme bacino di aria spesso stabile e umida dalla quale i temporali possono attingere direttamente grazie alle vallate alle spalle della città, particolarmente ripide e dirette verso la costa.
Ma, ad esempio, qualcosa di simile può succedere nella zona delle Alpi Apuane, come ben sappiamo anche dagli eventi alluvionali degli anni scorsi.
Più rari invece sono accadimenti di questo tipo lungo veri e propri fronti di aria calda, lungo i quali lo Scirocco trova una sorta di muro sul quale viene sparato verso l'alto per una particolare combinazione di venti tra bassa e alta atmosfera. Un esempio di questo tipo è dato dall'alluvione maremmano di pochi anni fa.

Il fiume artico si è svegliato

I pochi giorni di alta pressione che ci hanno fatto compagnia la settimana scorsa; lo Scirocco leggero che inizia a soffiare adesso tra le montagne del Nord e i mari tra Ligure e Tirreno; i tanti temporali che hanno attraversato la Manica e il Regno Unito da inizio settimana.
Sono tutti effetti di una stessa causa: l'apertura dei rubinetti freddi da parte della Groenlandia dopo la pausa estiva.

La Groenlandia è un po' il serbatoio di freddo e gelo per buona parte dell'Europa atlantica e una fetta di quella centrale: in inverno i venti che soffiano sugli altopiani artici attraversano a ondate l'oceano, caricandosi di umidità e rovesciandosi poi sulla terraferma europea sotto forma di acquazzoni accompagnati da forti e fredde raffiche di vento, rovesci improvvisi di neve alternati a sole e calma piatta, ma anche vere e proprie bufere sulle coste più esposte.
Anche l'Italia – sempre in inverno – è più soggetta a venti freddi che partono dall'isola artica piuttosto che al gelido e asciutto vento russo, decisamente raro.

Come già scritto, durante l'estate la circolazione dei venti non permette alla Groenlandia di avere voce in capitolo sul tempo europeo e oceanico, permettendogli a malapena di sbuffare qualche refolo fresco nelle immediate vicinanze dell'Artico, dove così costruisce perturbazioni solitamente moderate, non in grado di raggiungere l'Italia se non dopo un lungo stemperamento.
Ma in autunno la ripartenza del fiume d'aria fredda può diventare spettacolare, proprio come sta succedendo in questi giorni: l'aria sull'Oceano, ancora mite, scontrandosi e poi rimescolandosi ai venti artici costruisce perturbazioni molto lunghe, profonde, accompagnate da fronti ampi anche più di 4-5000 chilometri, basse pressioni che scendono fin sotto i 960 hPa e venti rafficati ben oltre i 100 chilometri orari. E allora anche il satellite ci restituisce immagini che sottolineano l'imponenza di queste strutture da ammirare per la loro potenza, essendo capaci di risucchiare venti miti fin sull'Italia nonostante transitino lontane da noi per parecchie centinaia di chilometri.

Uno spettacolo grandioso, talvolta pericoloso quando raggiunge estremi esagerati nella prima parte dell'inverno con vere e proprie tempeste, ma comunque un qualcosa cui dovremmo essere abituati data la sua presenza costante ogni anno.

L'avvento dell'alta pressione

E' appena iniziato l'autunno, e i venti oceanici puntualmente prendono velocità.
Lo fanno ad alta latitudine, tra il Regno Unito e la Scandinavia, trascinandosi dietro l'alta pressione poco più a sud, fino ad invadere parte dell'Europa.

Quella dei prossimi giorni è la prima vera apparizione di un'alta pressione robusta sulla parte centrale e atlantica del nostro Continente da un bel po' di tempo. Sicuramente segna un cambiamento nella circolazione dei venti, ma non è detto che possa essere così insistente.
D'altra parte siamo in autunno, ed è probabile – oltre che auspicabile per vari motivi – che il tempo sia in una certa misura variabile e a tratti piovoso.

Fatto sta, comunque, che verso il fine settimana e poi la fine del mese passeremo alcuni giorni in compagnia dell'alta pressione.
Il tempo sarà certamente migliore al Nord, più vicino al robusto centro motore dell'anticiclone; al Centro inizialmente ci sarà del vento e anche delle nuvole addossate all'Appennino e sulle regioni adriatiche. Nel Meridione invece le condizioni saranno un po' più mutevoli e capricciose, capaci di guarire solo lentamente.

Per la previsione del quando e come quest'alta pressione abbandonerà il campo, comunque, dobbiamo tenere conto di un aspetto che nelle prossime settimane acquisirà sempre più importanza: le notti ormai sono piuttosto lunghe, e quindi l'aria negli strati bassi dell'atmosfera si raffredda e stabilizza velocemente. Questo potrebbe aiutare l'alta pressione a respingere gli attacchi delle perturbazioni sulla terraferma, con un'azione via via più importante andando verso l'inverno.
Per questo episodio intanto accontentiamoci di confermare il tempo relativamente buono almeno fin verso mercoledì.

Per adesso non si può dire di più, perché in primis il destino dell'alta pressione dipenderà da altri fattori che al momento sono solo nelle fantasie dei modelli numerici, spunti che non potranno essere soppesati prima di lunedì prossimo.

Brezze e temporali: un equilibrio poco esplorato

Specialmente in un periodo come questo, verso fine estate, possiamo far caso ad un fatto che di per sé può apparire insignificante, ma che in realtà in generale è molto interessante: nel momento in cui sta arrivando una perturbazione carica di temporali si può osservare come lungo le zone costiere le piogge non siano quasi mai presenti tra la fine della mattina e buona parte del pomeriggio, quando invece si concentrano verso le montagne o comunque nelle valli lontane dal mare.
Questa non è una coincidenza, ma il risultato dell'interazione tra due fenomeni su scale di spazio diverse: da una parte il processo di formazione delle nuvole all'interno della struttura della perturbazione, dall'altra il meccanismo delle brezze di mare e di terra.

Approfitto del forte temporale che ieri ha colpito l'alta Toscana per parlarne in maniera più approfondita, in quanto può essere utile per una previsione a livello di nowcasting, ossia a pochissime decine di minuti oppure ore di distanza da un evento.
Il temporale in esame si è formato durante la notte in mare aperto, sul Mar Ligure, dall'interazione diretta tra l'aria molto calda e umida risucchiata dallo Scirocco e le brezze di terra in uscita dalle Valli del Serchio e del Magra, vallate che ormai si rinfrescano facilmente durante le notti di tarda estate.
Nella prima parte della mattina il temporale ha continuato a crescere più o meno nella stessa zona, avvicinandosi lentamente verso la costa seguendo l'infiacchimento graduale della brezza da terra. Poi a fine mattinata – sostenuto anche dalle raffiche fresche e asciutte rovesciate con l'acquazzone – è entrato di prepotenza nella Valle del Serchio e nel Valdarno Inferiore dove è ruzzolato velocemente fino a ridosso delle montagne del Fiorentino, una barriera contro la quale ha sbattuto per poi dissolversi velocemente.
E l'evoluzione così veloce del temporale dal mare verso la terraferma si è innescata proprio per l'interruzione della brezza di terra e la partenza della componente marina, che sommandosi alle raffiche fresche del temporale ormai vicino alla costa ha aiutato in qualche modo la risalita dell'acquazzone lungo le vallate.

Pensandoci bene un ragionamento simile potrebbe essere fatto anche per le brezze di valle e di monte, a ridosso delle catene montuose. Ma qui la previsione si complicherebbe ancora di più.

Comunque le cronache dell'evento toscano le conosciamo: sappiamo cos'è successo, come, e con quale violenza. E in una certa misura possiamo dire che una volta individuato il temporale in mare aperto si sarebbe anche potuta prevedere la traiettoria successiva dell'ammasso di nuvole, senza affidarsi ai modelli matematici.
La previsione però – questo lo aggiungo io – sarebbe andata in porto solo in parte, perché nella stragrande maggioranza dei casi i temporali che giacciono sul mare durante la notte e la prima parte della mattina poi si dissolvono velocemente (o tornano più al largo) entro mezzogiorno o poco dopo, proprio per l'arrivo della brezza.
Nel nostro caso i modelli ci sarebbero venuti in aiuto solo per quanto riguarda la valutazione del carburante a disposizione del temporale: tantissimo nel nostro caso, e di ottima qualità. Ma con il senno di poi non si fa una previsione, e quindi prendiamo intanto questo evento come un caso da studiare per affinare una tecnica di previsione poco considerata.

E la Bertha filava …

Se stessimo vivendo una estate come quelle degli anni passati – spesso bollenti e afose per settimane intere – potremmo pensare magari al fatto che la stagione sta superando il suo periodo migliore e sta per avviarsi verso un cedimento graduale.
Ma la realtà dell'estate 2014 ci ha abituati ai capricci, al caldo non così pesante, ai temporali: quasi una novità, qualcosa che non si presentava dal 2002.

E allora anche i primi segni del cambiamento graduale dei venti e della circolazione delle perturbazioni tipico della fine dell'estate potrebbe risultare meno interessante del solito, se non fosse per un particolare di cui spesso ci dimentichiamo: spesso e volentieri il primo strappo al dominio delle alte pressioni calde sull'Italia è dovuto – direttamente o indirettamente – NON alle basse pressioni artiche che scendono verso sud, bensì all'arrivo sull'Europa di perturbazioni nate da vecchi cicloni tropicali ormai passati a miglior vita.

Eh, già.
Sarà per quel “quid” di energia in più che una tempesta o un uragano ha in seno, ma è quasi sempre così.
E quest'anno la tradizione non verrà interrotta, o magari non lo sarebbe se avessimo avuto alta pressione salda e forte nel periodo centrale della bella stagione.
E' infatti in dirittura d'arrivo sull'Europa il vecchio ciclone tropicale “Bertha”, atteso domenica nel Regno Unito con le caratteristiche di depressione “post-tropicale”, piccola ma forte, capace di scatenare venti inusuali per il periodo estivo e pioggia battente ed abbondante.
Tradizione vorrebbe che ad accoglierla ci fossero le alte pressioni, con un gran caldo su tutto il Continente, un caldo che – fronteggiando l'aria più fresca risucchiata dal ciclone di passaggio alle alte latitudini – andrebbe ad accelerare e piegare la Corrente a Getto in arrivo dall'Oceano verso la Scandinavia, favorendo così la crescita di una saccatura dentro la quale i venti freschi artici potrebbero spingere di contro verso di noi, portando qui i primi temporali, o comunque le prime raffiche di vento a seguire il solleone.

Stavolta però le alte pressioni non sono così robuste, il caldo non è particolarmente acceso (almeno fin sull'Europa centrale), e di conseguenza la Corrente a Getto potrà continuare il suo pellegrinaggio da ovest verso est per alcune centinaia di chilometri sulla terraferma, richiamando l'aria più calda presente sulla Spagna e l'Algeria NON in direzione della Francia e della Germania – come veloce ondata calda prima del cambiamento – bensì verso il basso Mediterraneo dove andrà così a portare più caldo per diversi giorni coprendo anche il Sud e buona parte del Centro Italia, da lunedì in poi.
Il Settentrione verrà invece toccato dal ramo freddo della depressione, e quindi qui l'eventuale passaggio di aria calda a precedere sarà molto breve.

A seguire?
Davvero impossibile dirlo adesso. I modelli numerici usati in Europa e nel Nord America fanno una gran fatica a prevedere la traiettoria di basse pressioni nate ai tropici, perché queste sono pilotate da processi fisici diversi da quelli che comandano le normali depressioni delle nostre zone.
Dovremo quindi aspettare che Bertha completi il suo ciclo vitale, tra domenica e lunedì, per cominciare ad avere un po' più chiara la tendenza del tempo da Ferragosto in poi.

Previsione della pioggia: l'esercizio più complicato

Larga parte delle persone che consulta le previsioni del tempo vuole sapere una cosa, prima di tutto: domani pioverà o no?
E sull'onda di questa domanda – che rimbomba nella testa di milioni di persone ogni giorno – tutte le mattine parte la corsa alla previsione più dettagliata, quella più completa, la più semplice da leggere, la più affidabile; senza però tenere conto del fatto che spesso queste quattro qualità non convivono e non possono convivere, specialmente quando si parla di pioggia.

La previsione della precipitazione, in generale, è particolarmente complicata da valutare sia in termini di quantità che di durata, in quanto i modelli numerici usati allo scopo ricavano il dato di pioggia dalla valutazione di altri parametri, già a loro volta calcolati a partire dalle equazioni matematiche.
Ad esempio certi programmi possono stabilire che in una tale zona a quella data ora pioverà con una qualche intensità se sulla verticale di quel punto è stata raggiunta una umidità del 100% su uno strato d'aria più spesso di 2000 metri. Peccato che l'umidità a sua volta viene calcolata – per un certo istante nel futuro – a partire dalle equazioni, e quindi è comunque soggetta ad un certo errore di valutazione dovuto a vari motivi.
E' un esempio stupido; nella realtà tutto funziona in maniera molto più complicata, ma serve giusto per rendere l'idea.
Ciò che voglio dire è che se c'è un errore di qualche tipo nel calcolo di parametri come l'umidità, oppure la copertura del cielo, oppure ancora il vento, e chissà cos'altro, l'errore nel calcolo della pioggia o della neve o della grandine (dipendente in maniera tremenda da questi) sarà ancora più grande. E mano a mano che si va in avanti nel tempo (previsione a 12-24-48-72 ore, ecc. ecc.) questo errore diventerà enorme, insostenibile.

Chiaramente colui che progetta, modella e testa un software in grado di fare delle previsioni del tempo per un'area più o meno grande cercherà gradualmente di avvicinarsi il più possibile al migliore risultato, ma almeno per adesso – con la tecnologia e le tecniche odierne – è una sfida poco equilibrata, almeno per quanto riguarda il calcolo delle QUANTITA' di pioggia, e in parte anche per la tempistica (se parliamo di pioggia da cumuli e cumulonembi).
Qualcosa di meglio invece si sta riuscendo a fare per quello che riguarda la distribuzione delle precipitazioni: se le mappe di previsione dicono che in una certa area pioverà, le probabilità che la previsione sia vera aumentano, ovviamente con errori via via più ampi mano a mano che ci si allontana in avanti con la scadenza della previsione.

In sostanza, consultare le previsioni con le iconcine del sole o della pioggia ha poco senso da questo punto di vista, perché spesso il tutto viene associato a una probabilità (icona con nuvola e una o due gocce e “probabilità di pioggia: 70%”).
Cosa mi vuol dire probabilità del 70%: pioverà o no?
“E' probabile al 70%”!
Sì, ok … E quindi? Sì o no??
(Non c'è risposta)

In realtà la sicurezza nel poter dire “Pioverà” oppure “Sono certo che NON pioverà” non c'è nemmeno consultando le mappe che mostrano la distribuzione di pioggia su una certa area ad una data ora; tuttavia con il confronto tra queste mappe si ha comunque una visione molto ma molto più ampia delle condizioni del tempo attorno alla propria città o regione, degli eventuali spostamenti delle aree di pioggia, dell'eventuale formazione o dissolvimento di ammassi di nuvole in grado di dare pioggia, ecc. ecc.
E quindi – con un minimo di impegno da profondere al primo approccio – con le mappe si può imparare a valutare se il rischio di pioggia sarà alto o meno.
Altrimenti se vi piace continuare a guardare le iconcine e lamentarvi quotidianamente con il “tanto non ci azzeccano mai”, fate pure. Ma non annoiate il resto del mondo, perché dovrete aspettarvi errori grossolani appena possibile.

Sulle quantità, invece, come dicevo c'è da lavorare ancora tanto; quindi non affidatevi a nessuna previsione elaborata da computer per capire se pioverà parecchio oppure poco. Al più potrete valutare se pioverà tanto o poco rispetto alle zone attorno.
Consultatevi invece con un meteorologo che conosce bene il vostro territorio, oppure – se siete appassionati della materia – imparate a valutare senza dipendere costantemente dai modelli, ma verificando previsioni, confrontando di volta in volta, archiviando e riprendendo eventuali episodi simili in passato per capire un comportamento eventualmente differente.
In entrambi i casi ne gioverà il vostro umore, e ne gioverà la meteorologia.

Metà estate: il periodo più calmo dell'anno

Quarta settimana di luglio, in molti casi riconosciuta come metà estate, o come il periodo più calmo dell'anno.
Questo aggettivo, calmo, può essere tradotto in vari modi, ma la via più diretta e logica è questa: l'aria calda dal Tropico smette di spingere verso l'Artico, l'aria fredda dall'Artico non ha ancora la possibilità di riprendere a fluire verso il Tropico, e allora ecco che i contrasti tra le varie latitudini si attenuano e la Corrente a Getto diventa blanda, lenta, procedendo a piccoli strappi o lunghi fiumi sonnacchiosi.
E di solito in Italia questo significa solleone, perché la Penisola è completamente immersa nei territori conquistati nelle settimane precedenti dalle alte pressioni arrivate dai Tropici.

Quest'anno però sta andando diversamente: dopo una prima ondata di caldo a giugno il tempo è rimasto capriccioso, spesso instabile, con temporali talvolta molto forti e accompagnati da aria insolitamente fresca.
Non è mai arrivata la stabilità tipica della parte centrale dell'estate, e questo ha ricordato a molti la bella (?) stagione del 2002, quando tra luglio e agosto si succedettero molte giornate di tempo brutto, fresco e ventoso, specialmente al Centro-Nord.

Stiamo quindi vivendo una condizione affatto normale, un tipo di tempo che vede le alte pressioni lontane dal Mediterraneo e ben distese molto più a nord, mentre sul Continente Europeo si susseguono piccole bolle di aria fredda ad alta quota che regalano l'instabilità di cui stiamo parlando.
E' una situazione frutto di tutta una catena di eventi che fa capo – in ultima analisi – alla mancanza della copertura nevosa sul territorio europeo durante la seconda parte dello scorso inverno, fattore questo che ha influenzato in maniera importante la circolazione dei venti successiva.
Per fortuna la Natura ha la capacità di scegliere infinite strade da percorrere, e quindi anche se si dovesse ripresentare un inverno povero di neve non avremmo necessariamente un'altra estate capricciosa.

Il punto da analizzare adesso però è questo: quanto durerà?
Proprio perché siamo in un periodo di calma relativa è difficile che le correnti principali cambino da qui a qualche settimana, almeno finché l'aria artica non riprenderà a spingere, ossia verso la metà del prossimo mese.
Attenzione però: non sto dicendo che il tempo sarà brutto fino almeno a metà agosto (e magari dopo diventa ancora più brutto), ma che con tutta probabilità queste piccole bolle di aria fredda continueranno a vagare qua e là per il territorio europeo, lasciando poco spazio alle alte pressioni se non a ridosso dell'Oceano dove il Getto può avere una spinta in più dal contrasto vivo tra la terraferma ancora ben scaldata dal sole e le acque relativamente più fresche.
Tuttavia – questo sì – è bene prendere in considerazione l'idea che il tempo possa non stabilizzarsi per più di qualche giorno, lasciando spazio eccessivo ai temporali.

Quella bassa birichina …

… “tanto stretta al punto che, ci scombinava tutto …”

Da oggi e per il resto della settimana il tempo si metterà al buono, o quantomeno diventerà più soleggiato e caldo, se non addirittura afoso.
E sarebbe anche l'ora, dato che siamo nel periodo centrale dell'estate e la norma vorrebbe condizioni ben più stabili di quelle che abbiamo avuto finora.

Però sappiamo già che non durerà a lungo: nel fine settimana arriverà una folata d'aria oceanica che riporterà i temporali su diverse nostre regioni, con l'aria che si farà un po' meno rovente e pesante, seppur sempre caldina.
Il nuovo cambiamento arriverà per l'apertura del rubinetto della Groenlandia, che farà scivolare aria fredda e inizialmente asciutta verso sud, in direzione delle Azzorre. Attorno al 50° parallelo i venti artici incontreranno una bolla di aria instabile che giaceva in zona da giorni, una bassa pressione piccola e poco attiva, che per alcune ore richiamerà ancor più verso sud l'aria fredda fino a farla sfociare sull'Atlantico portoghese da dove poi sferrerà l'attacco verso l'Europa.

La domanda è: se questa piccola bassa pressione non ci fosse cosa succederebbe nel fine settimana? Il tempo sull'Italia peggiorerebbe ugualmente? Sì? No? Più velocemente? Più lentamente? Ecc. ecc.
Una proposta verosimile la avremmo solo attraverso dei computer potenti e facendo delle simulazioni con software dedicati. Ma possiamo provare comunque a fare delle ipotesi.
Ad esempio senza quella bassa pressione sulle Azzorre viene a mancare l'ulteriore spinta verso sud per l'aria fredda in arrivo dall'Artico, e quindi i venti groenlandesi non arrivano fin sull'Atlantico portoghese ma si fermano più a nord, andando all'attacco del Golfo di Biscaglia. In questo caso probabilmente ci sarebbe un peggioramento molto forte ma anche veloce sull'Europa centrale, mentre sull'Italia rimarrebbe l'alta pressione con temperature alte, e pochi strascichi di nuvole e acquazzoni solo sui crinali alpini al confine con Svizzera e Austria.

Ma c'è anche un'altra possibilità: rallentando in aperto Oceano i venti freddi darebbero il tempo ad altre perturbazioni in arrivo dal Canada di stringere in una morsa il lungo canale fresco creato dalla loro azione, fino a formare una sacca molto stretta e veloce che, magari, passando sulla Francia sgancerebbe una piccola goccia proprio sui mari italiani portando tanti temporali e fresco per giorni e giorni.

In sostanza: non sappiamo e non sapremo mai come sarebbe andata realmente.
E il bello della meteorologia è anche questo: potersi rendere conto del fatto che la Natura ha un numero infinito di vie da seguire, tanto da proporci – senza particolari sforzi – ogni volta qualcosa di nuovo che incuriosisce, regala esperienza e stupisce.

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