Cosa succede quando i TEMPORALI devono valicare le Alpi?

Non è certo difficile intuire quante difficoltà incontrino quelle perturbazioni che, in arrivo da nord, devono affrontare l’impegnativo superamento della catena alpina

Le masse d’aria di origine polare e di natura marittima che nel semestre estivo si trovano a fluire per motivi sinottici verso meridione, scorrono sopra territori orograficamente tormentati (Scandinavia, Baltico) con continua alternanza di terraferma e mare. Sono così costrette a misurarsi con diversi “sobbalzi” termici e meccanici che ne rimescolano lo spessore. A costo di un lieve riscaldamento, la nostra massa d’aria ha così acquistato ora un notevole spessore verticale, anche oltre i 3.000 metri.

In questo modo può agevolmente superare la catena alpina, un po’ come fa un’alta onda del mare quando si approssima ad una scogliera più bassa. L’onda si infrange ma dalla parte riparata ricadono cascate di schiuma e si forma una nuova onda più piccola e disordinata.

E allora immaginiamo il nostro fronte freddo che, una volta impattate le Alpi da nord, le abbraccia ondulando vistosamente: è il primo passo che porterà ad un sensibile peggioramento del tempo anche sul versante padano. L’aria fredda irromperà dapprima dalla porta della Bora, poichè da quel lato le montagne sono meno elevate, lo stramazzo dal lato piemontese e lombardo invece tarderà di alcune ore.

Nel semestre estivo la sequenza dei fenomeni, solitamente temporali violenti accompagnati da grandinate e eventuali fenomeni vorticosi, è la seguente (lo possiamo vedere anche dalle figure che seguono:

1 – Il fronte freddo si approssima alle Alpi

2 – La massa nuvolosa frontale abbraccia i versante esteri della chiostra alpina ondulando vistosamente (vedi figura).

3 – L’aria fredda penetra dalla porta adriatica prima e da quella ligure dopo e il fronte si spezza.

4 – Dietro il fronte spezzato si forma una linea di groppo post-frontale che scende dalle Alpi precipitando veloce verso la val Padana.

Questa situazione porta dunque una sequenza di forti temporali a partire dal Triveneto, in particolare le Venezie, con coinvolgimento successivo della pianura lombarda, basso Piemonte ed Emilia Romagna. Intanto i primi rovesci si preparano sulla Liguria per ingresso del Libeccio freddo. Il fronte si sta spezzando. La linea di confluenza che deriva dalla saldatura tra le masse nuvolose entranti è già pronta e sfonda poi da nord investendo anche la Valle d’Aosta, il Piemonte e ancora la Lombardia.

Al suo seguito si avrà una rapida e consistente discesa delle temperature per ingresso ovunque del vento da nord e la possibilità di nevicate sulle Alpi a quote magari anche modeste per la stagione. Solo il seguito della massa d’aria, solitamente più asciutto, potrà dar luogo a un miglioramento ma non prima della giornata successiva. Torneranno cieli tersi, tempo molto fresco e  ventoso ma ancora possibilità di rovesci pomeridiani a macchia di leopardo per la presenza solitamente di ulteriori pacchetti di aria fredda in quota.

Preme sottolineare che proprio la natura turbolenta dei processi fisici coinvolti spesso può ricadere in una certa approssimazione prognostica. Questa mancanza può venire risolta in ambito previsionale introducendo il valore aggiunto della possibile percezione del tempo che farà, ovvero indicando la possibilità di fenomeni temporaleschi a macchia di leopardo, facendo intendere che questi ultimi potranno colpire duro a scala locale, ma parimenti a scala locale, lasciare all'asciutto molti altri.

Luca Angelini

Quali sono le cause di un'estate più calda della norma?

Avanti, siamo sinceri: chi di noi non ha ancora letto o sentito che la prossima estate sarà una stagione da record? Si certo, esattamente come avrebbe dovuto esserlo lo scorso inverno, così come avrebbe dovuto esserlo la scorsa estate e così via… Ora, per non rimanere imbrigliati nella rete delle falsità, alias meteo-climabufale, propinate ormai quotidianamente dalle fonti più disparate, non ci rimane che uscire dall'indotto e tornare a ragionare con la nostra testa. Non servono chissà quali conoscenze tecniche per comprendere le cause che, se operanti in sinergia, possono portare ad una stagione estiva più calda della norma. Andiamo dunque ad analizzarle. Non ci sarà difficile tenerle a mente.

Prima cosa: sembrerà banale ma in estate fa caldo perchè c'è il sole: sole alto nel cielo, sole che insiste per molte ore e che riscalda fortemente il terreno quindi la massa d'aria sopra di esso. Ma per avere il sole dobbiamo contare sulla presenza di un anticiclone. Non un anticiclone qualunque, bensì lui, il temuto anticiclone nord-africano.

Arriviamo così al secondo passo: l'anticiclone nord-africano è un'arma a doppio taglio. Oltre alla compressione della massa d'aria al suo interno, caratteristica questa di tutti gli anticicloni, il “ciclope dei deserti” viene alimentato dalle roventi masse d'aria che sovrastano le dune del Sahara e che in estate raggiungono agevolmente i 45 gradi, talvolta anche i 50 gradi. Ma tra noi e l'Africa c'è il mare. Ecco che la massa d'aria africana, in origine caldissima ma secca, inizia ad assorbire umidità dal mare per evaporazione. Maggiore è la temperature dell'aria e maggiore è l'evaporazione. Inoltre, se pensiamo che più una massa d'aria è calda, e maggior quantità di vapore può contenere, è facile immaginare che questa situazione porterà caldo intenso di tipo afoso, talvolta anche insopportabile.

Bene (si fa per dire), ma possiamo sapere con qualche tempo di anticipo, qualche giorno anche qualche settimana, se il “cammello” dell'aria arriverà fino da noi? Un indizio ci può derivare dall'analisi delle anomalie termiche delle acque sul golfo di Guinea. Se le acque suddette sono più fresche della norma, viene a generarsi una corrente che dal mare (sud) soffia verso il Sahel (nord). Una sorta di enorme brezza marina che va sotto il nome di Monsone dell'Africa nord-occidentale. E chiaro che il Monsone spingerà verso nord  la linea dove confluiscono gli Alisei dei due emisferi, normalmente posta attorno all'Equatore (Linea I.T.C.Z.) e, di conseguenza, anche la banda anticiclonica subtropicale che dunque andrà ad invadere il Mediterraneo e l'Italia.

Una volta insediato l'anticiclone africano rimane l'ultimo tassello per avere un'estate insopportabile: la mancanza di precipitazioni, magari già nella stagione primaverile. Questo perchè se il terreno è secco, il riscaldamento solare cede all'aria tutta l'energia e quindi il calore, mentre in caso di terreno umido o bagnato parte di questo calore verrebbe utilizzato per il processo di evaporazione e manterrebbe le temperature complessivamente meno elevate.

Per concludere, guardate quanti fattori concorrono a creare un'estate più calda della norma: intenso soleggiamento, alta pressione nord-africana, monsone, evaporazione del mare, terreno secco già dalla primavera. Un ultimo appunto: nel caso attuale (estate 2015), non date credito a chi paventa un'estate con caldo record per via del fenomeno di El Nino. Gli “addetti ai lavori” sanno infatti benissimo che le eventuali conseguenze di questo fenomeno, qualora si verificasse con elevata magnitudo (al momento è ancora debole-moderato), si faranno sentire sul comparto euro-atlantico non prima dei 3-4 mesi successivi. A buon intenditor…

Luca Angelini

APP e previsioni meteo: “just an illusion”

Pranzo all'aperto: che tempo farà tra una settimana alle ore 13.00 a Roma, Villa Borghese? Mano allo smartphone e il tempo non ha più misteri. La risposta corretta invece sarebbe un'altra: just an illusion, traduzione italiana: previsione impossibile. 

Un modo certamente singolare per iniziare la nostra consueta chiacchierata, ma che vuol essere volutamente d'impatto affinchè sia chi “ama” il tempo meteorologico, sia chi semplicemente lo usa, stiano in guardia dalla meteo tanto al chilo. Al centro dell'attenzione loro, le gettonatissime APP meteorologiche, qui discusse per dare a Cesare quel che è di Cesare, dimostrare la loro quasi totale inutilità e distinguersi dalle mode del nulla globale.

“Ooops, cade un mito”, sussurrerà qualcuno pensando alla sua APP, così carina da dar del filo da torcere alla propria moglie-fidanzata. “Questo è pazzo”, penserà qualcun altro rivolgendosi al sottoscritto come se fosse stato colto da “delirium omnipotens”.

Ma perchè queste APP non sarebbero in grado di suggerirci correttamente le previsioni del tempo a scala locale, perchè sarebbe tutta un'illusione? Ve lo spieghiamo con parole spicce ma efficaci.

I simbolini utilizzati nelle APP sono l'output grafico di un algoritmo matematico che, con metodo invisibile all'utente, estrae un dato numerico da un modello fisico-matematico. Ogni azienda che fornisce il servizio si appoggia infatti ai modelli fisico-matematici, quelli elaborati dai grandi Centri di Calcolo mondiali per simulare l'andamento dell'atmosfera, gli stessi sui quali si basano le previsioni del tempo in versione integrale per intenderci. Ebbene, apparentemente la soluzione di utilizzare un dato numerico e trasformarlo in dato grafico fruibile a tutti, by-passando la “noiosa lettura” dei vecchi bollettini, parrebbe geniale. E invece ecco l'intoppo.

Tanto per iniziare i modelli fisico-matematici suddividono l'area geografica di interesse in una griglia, la cui risoluzione orizzontale e verticale varia a modello a modello ma che non scende al di sotto dei 20-25 chilometri (reali). Guardate la figura in basso: se le leggi della Fisica fossero semplici calcoli dilettevoli, ogni volume all'interno della griglia potrebbe fornirci lo stato dell'atmosfera in un dato istante e dunque permetterci di prevedere il tempo con una risoluzione pari appunto a 20-25 chilometri. Purtroppo invece le equazioni utilizzate nel procedimento previsionale sono talmente complesse (non lineari) che per essere risolte devono essere ridotte in forma algebrica, quindi approssimate. Per questo motivo i dati disponibili non si riferiranno più agli spazi ai volumi posti all'interno della griglia, bensì gli soli punti della griglia (procedimento noto come discretizzazione).

Cosa significa? Che per ottenere una risoluzione minima, dovrò procedere come se volessi disegnare un'onda e dunque collegare almeno 4-5 punti della griglia. Il che equivale moltiplicare la nostra risoluzione per 4-5 ottenendo pertanto una risoluzione reale di circa 100 chilometri. Per di più i punti su cui sono stati inseriti i dati di rilevazione, possono non coincidere con una data località. Si opera dunque un'ulteriore approssimazione, “spostando” il dato verso la località desiderata e mischiandolo con quello del punto di griglia più vicino (processo noto come interpolazionecosì da ottenere il dato medio di ogni volumetto d'aria. 

Dunque, riassumendo: discretizzazione, interpolazione, aggiungiamoci anche insufficienza o eventuali inesattezze dei dati iniziali, passi di griglia di 100 chilometri, e siamo solo al tempo che fa tra un'ora! Ma facciamo anche un passo indietro: andate a controllare la vostra APP: vi sta rappresentando correttamente il tempo di che fa adesso? Si, no, forse… e poi, risoluzioni minime di 100 chilometri e noi ci illudiamo di conoscere il tempo su un quartiere di Roma tra una settimana? Se, come diceva il buon Lorenz, un piccolo errore ai dati iniziali, causa un processo a cascata che, nel processo di previsione, fa crescere l'errore in via esponenziale con il passare dei giorni, va da sè che le nostre APP nel giro di poche ore diventano uno strumento assolutamente inutile, addirittura dannoso per chi depone in esso false speranze. Non ci credete? Provate, interrogate le vostre APP, chiedete il tempo previsto sulla vostra località tra 15 giorni a una data ora, annotate i dati previsti in questo momento e poi andateli a ricontrollare tra un'ora, tra sei ore, domani, dopodomani, giorno dopo giorno. Non avrete che prender nota dei numerosi voltagabbana, di tastare con mano la loro quasi totale inutilità.

Purtroppo per noi, carissimi lettori, la Meteorologia fa eccezione con il resto del mondo. Qui la scienza non fa passare lo straniero. Qui le mode non attaccano. Qui non si possono sfornare strumenti predittivi modello Nostradamus. Qui non è consentito barare, ne tanto meno banalizzare. Qui all'alba del terzo millennio, le uniche previsioni affidabili (seppur anch'esse approssimate) rimangono quelle “noiose”, fruibili dai bollettini, magari antiquate e antipatiche, ma che lasciano ancora all'utente la discrezionalità, l'iniziativa di interpretare le parole, l'intuito per capire in proprio il tempo che farà, l'abilità concreta di immaginarlo sulla propria località. Un procedimento che sa di retrò ma che ci permette ancora di usare il cervello, ci consente ancora di rimanere legati con l'ultimo filo di lana al mondo reale. E di questi tempi, scusate se è poco…

Luca Angelini

Un'alta pressione può generare tempeste?

Tempeste di alta pressione: ne avete mai sentito parlare? Evidentemente no, dato che non possono esistere. La questione, a prima vista, potrebbe sembrare banale, tuttavia solo addentrandoci nel suo significato fisico e matematico, possiamo dimostrarlo nero su bianco. La soluzione del nostro quesito parte tracciando per prima cosa l'identikit delle nostre basse e alte pressioni: sul piano verticale una bassa pressione è una circolazioneche entro la quale convergono masse d'aria nei bassi strati. L'accumulo di aria , non potendo sfogare verso il basso (dove c'è il suolo) crea una colonna d'aria che salendo, toglie peso (ecco perchè si dice bassa pressione) rispetto alle zone circostanti. La salita provoca condensazione e quindi formazione di nubi e precipitazioni. L'alta pressione è l'esatto opposto: le masse d'aria convergono in quota e l'accumulo di aria che ne deriva, non potendo sfogare verso l'alto a causa del “tappo” opposto dalla stratosfera, crea una colonna d'aria che, scendendo, aggiunge peso rispetto alle zone circosanti (ecco perchè si parla di alta pressione). In questo caso l'aria in discesa incontra pressioni via via maggiori, dunque si comprime e si riscalda, dissipando le nubi e portando dunque il bel tempo.

Ma per comprendere quel che fa davvero la differenza tra i due soggetti sinottici, occorre esaminarli sul piano orizzontale. Nella bassa pressione l'aria non sale in verticale, bensì si avvita ruotando in senso antiorario attorno al proprio asse (nell'emisfero settentrionale). Nascono così tre forze: la forza di gradiente (G), che porta l'aria dall'alta verso a bassa pressione in via diretta, la forza centrifuga (C), che porta l'aria dal centro verso l'esterno e la forza di Coriolis (CO), che interviene a causa della rotazione terrestre. Ebbene, tralasciando l'ulteriore deviazione dovuta all'attrito nel caso di una bassa pressione al suolo, queste tre forze tendono a giungere ad uno stato di equilibrio che è noto in quota come Vento Geostrofico. Quest'ultimo si presenta pressochè (quasi) parallelo alle linee di uguale altezza geopotenziale (isoipse). La relazione che nasce tra le tre forze può essere schematizzato come segue: G=CO+C, ossia la forza di gradiente è uguale alla somma tra la forza di Coriolis e la forza centrifuga. La forza centrifuga in pratica “aiuta” quella di Coriolis a compensare il vento di gradiente e quindi, in definitiva la nostra bassa pressione, che può dunque approfondirsi sino a tempesta o uragano.  

Nel caso dell'alta pressione invece succede questo: C0=G+C, ossia la forza di Coriolis fa più fatica a contrastare le forze di gradiente e centrifuga che si sommano tra loro. Se ne deduce che, all'aumentare delle forze di gradiente e di quella centrifuga si arriverà ad un punto in cui la forza di Coriolis si annullerà e poi diventerà addirittura negativa, quindi incapace di compensare le forze che agiscono verso l'esterno. Ecco che l'anticiclone si indebolisce e si dissipa. Non si arriverà mai ad una tempesta.

Matematicamente parlando, senza tuttavia entrare nel dettaglio della formulazione, è interessante notare che nel caso della bassa pressione l'equazione che ne descrive il moto ci restituisce sempre una soluzione nel campo dei numeri reali, qualunque sia il gradiente barico (G). Nel caso dell'alta pressione invece la forza centrifuga (C) cresce con il quadrato della velocità del vento, mentre quella di Coriolis cresce linearmente, diventando dunque ad un certo momento incapace di compensarla. La nostra equazione ammette soluzioni reali fino ad un certo punto, dopodichè ci restituisce almeno una soluzione uguale a zero (l'alta pressione si indebolisce) e quindi nessuna soluzione reale (l'alta pressione si dissipa).

Un ultimo appunto: all'Equatore, dove viene a mancare la forza di Coriolis, si ha: G+CE=0. I più esperti avranno certamente capito che questa equazione non ammette soluzioni reali, il che vuol suggerirci che all'Equatore non possono esistere alte pressioni.

Luca Angelini

Aprile over 25: è normale che faccia così caldo?

2003 et al…. foschi presagi. Il repentino riscaldamento degli animi in quel della metà di aprile ha ben donde, viste le temperature che si sono raggiunte negli ultimi giorni. Non sono tanto i valori di picco, primo tra tutti gli oltre 30 gradi di Domodossola, a farci pensare, bensì l'andamento generale che ha visto impostarsi su due terzi dell'Italia un campo termico superiore alla media fino a 7-8 gradi per una settimana filata. Se calcoliamo che tale media si riferisce agli ultimi 30 anni, almeno 15 dei quali già in pieno Global Warming, la cosa fa ancor più pensare. E allora cosa scaturisce da tutti questi pensieri? Come sempre le leggi della Fisica e la loro traduzione concreta, ovvero la sinottica, ci tornano utili per capirne di più, senza farci abbagliare dai soliti dispensatori di meteorologia “alla spina”.

Prendiamo la carta del geopotenziale e della temperatura in quota ( 5.500 metri, mappa qui a fianco) si nota benissimo l‘omega spigolosa dell’alta pressione che, costretta ad ovest dal cut-off spagnolo e ad est dalla saccatura sulla Turchia si erge ripida lungo i meridiani centrali europei. Italia centrata in pieno. Sulle nostre regioni settentrionali lo stretto gomito del vertice anticiclonico causa incremento della vorticità negativa per via della curvatura, con intensa compressione adiabatica che scalda e asciuga la massa d’aria lungo l'intera colonna sottostante.

Quest’aria, come si nota dal campo di geopotenziale e temperatura a 850hPa (mappa in basso), è di recente origine nord-africana, quindi già calda di suo e, per quanto detto sopra, giunge sull’Italia dai quadranti nord-occidentali. L’aria secca, come noto, si scalda rapidamente durante il giorno, grazie al generoso soleggiamento e inoltre, per quanto riguarda le zone sud-alpine e le regioni padane, ulteriore riscaldamento è dato da un debole effetto favonico prodotto proprio dai venti da di caduta nord-ovest sopra citati. Un piccolo contributo ma anche la goccia che fa traboccare il vaso: è la normalità che diventa anomalia. Da qui le temperature superiori alla media anche di 7-8 gradi, da qui il muro dei quasi 30 gradi a metà aprile.

Insomma un’ondata di caldo africano in piena regola. Che sia l'antipasto di quel che verrà durante la prossima estate? Oppure si tratta solo di un episodio occasionale? Lo sapremo solo al risveglio del Monsone dell'Africa occidentale: dovesse scendere dal letto col piede sbagliato sarebbero dolori, ma tutto è ancora da decidere e in Meteorologia l'errore più banale che si possa commettere è quello di fasciarsi anzitempo la testa. 

Luca Angelini

Le previsioni per la Pasqua: da sempre una spina nel fianco

La tradizione vuole che la Pasqua – dopo un inizio di primavera più gradevole – sia capricciosa, instabile, spesso fresca.

E tradizione vuole anche che il meteorologo – alla ricerca della previsione per il week-end pasquale – vada nel panico per l'improvvisa quanto apparentemente inspiegabile inaffidabilità dei modelli numerici in tale occasione.
E' d'altra parte esperienza di tutti gli anni: quando si arriva a consultare, sondare, scrivere, elaborare le previsioni per la Pasqua le percentuali di errore si amplificano più che in ogni altro periodo dell'anno. Gli albergatori ne sanno qualcosa, così come i meteorologi che sono stati spesso coinvolti in polemiche vuote.

Ma cosa succede di così strano a Pasqua?
Non penso ci sia niente di misterioso, e probabilmente il tutto può essere ricondotto a due fattori distinti che si combinano tra loro:

– Visto l'arrivo di un periodo festivo il meteorologo è chiamato a fare previsioni dettagliate a più lungo termine rispetto al solito.
Sono numerose le tipologie di clienti che hanno bisogno, necessità, di informazioni puntuali in tempo per organizzare il proprio lavoro in queste occasioni; ed ecco che quindi il previsore è chiamato agli straordinari, alle eccezioni, allo spingersi oltre dei limiti in realtà invalicabili.
In molti casi si può ovviare discutendone con il cliente stesso e presentando delle tendenze di massima; in altri casi, però, non è possibile trovare alternative, e allora il meteorologo non può che INVENTARE, letteralmente.
Con l'avvicinarsi della scadenza, poi, la previsione lentamente prende corpo; tuttavia presenterà ancora delle oscillazioni che il meteorologo – se ansioso di fare bene il proprio lavoro e incapace di mantenere il completo controllo – rischia di seguire di volta in volta confondendosi, confondendo il risultato del proprio lavoro, e confondendo anche il cliente presentando risultati opposti a brevi distanze di tempo.
Insomma, la componente umana è fondamentale, è sempre presente, ma in casi di festività diventa preponderante o comunque più sentita.

– C'è poi il fattore naturale: la stagione in essere.
Durante la prima parte della primavera le nostre latitudini si risvegliano lentamente dall'inverno, e l'aria calda lentamente prende di nuovo il sopravvento, sia per avvezione dal Tropico, sia per convezione dal suolo irragiato da un Sole sempre più alto.
E proprio la convezione segna improvvisamente il passo tra la fine di marzo e buona parte di aprile, con l'esplosione di cumuli e cumulonembi in condizioni atmosferiche che fino a 10-20 giorni prima avrebbero magari mantenuto cieli sereni e limpidi; oppure con la formazione di basse pressioni più ampie in mare aperto.
Questo è un grosso problema per i modelli numerici di previsione, che – in larga parte – utilizzano degli schemi di calcolo della convezione adatti solo per l'inverno (quando è molto fiacca) o solo per l'estate (quando invece è preponderante), secondo delle procedure piuttosto complesse.
Nel periodo pasquale, quindi, nessuno dei due schemi va bene in assoluto, e allora i modelli tenderanno SEMPRE a stimare in maniera palesemente errata la convezione e i suoi effetti su piccola e grande scala.
“Eh sì, allora dovrebbe succedere lo stesso anche in autunno, no? Anche lì la convezione non è mica calcolata bene!”
Vero, ma nel periodo autunnale non ci sono festività impellenti che chiamino il previsore a fornire servizi su scadenze e dettagli fuori scala. E si torna al primo punto della questione.
Provate, verso fine ottobre o novembre, a fare caso a quante volte dovrete correggere la vostra idea di previsione per i giorni successivi rispetto alle volte in cui lo fate durante l'estate o il pieno inverno. Avrete delle sorprese!

Comunque chi ha un po' di fantasia potrebbe anche essere portato a valutare il ruolo nella questione delle fasi lunari, visto che la Pasqua cade sempre nella prima domenica dopo la prima Luna Piena successiva all'Equinozio di Primavera.
Ma, appunto, ci vuole fantasia: anche sforzandomi di trovare qualche relazione non riesco ad arrivare ad una conclusione, e non penso sia un limite personale.

La Pasqua e le previsioni

Mai una Pasqua fu così incerta come quella che ci stiamo apprestando a trascorrere. Parrebbe una osservazione attuale, eppure tutti gli anni l'episodio si ripete, quasi scontato, come se volesse rispettare con svizzera puntualità una vera e propria tradizione. Ne consegue che un campo minato come quello delle previsioni meteorologiche, già martoriato di suo, diventa un vero e proprio banco di prova per modelli, previsori e appassionati. Pensate che persino grandi personaggi del calibro di Andrea Baroni, sono inciampati sul tempo delle Pasqua. Erano certamente altri anni, tuttavia le scuse in diretta al TG1 per aver previsto sole anzichè pioggia in una lontana Pasqua degli anni '80, ha fatto di lui un maestro anche in deontologia e classe, oltre che in Meteorologia.

30 anni e più sono passati da allora, la tecnologia ha rivoluzionato la catena previsionale, le comunicazioni, la potenza dei calcolatori, la gittata delle previsioni, è cambiato anche il clima pensate, ma il tempo della Pasqua no; lui rimane sempre là adesso bello, subito dopo brutto, prima mite, poi più freddo, eternamente in bilico sul filo del rasoio, come un alpinista in equilibrio precario sull'abisso, come un surfista nei brevi istanti che gli permettono di cavalcare l'onda.

Ma se le risore messe a disposizione dal progresso tecnologico non sono state proporzionali ai risultati ottenuti in campo previsionale, è per via della nota teoria del caos deterministico firmata da Lorenz, non certo per l'incapacità di chi porta a termine tutti i giorni dell'anno il difficile e poco remunerato mestiere di previsore. Un curriculum annuale di 330 previsioni corrette, al netto di 30 giorni di ferie, fanno 5 giorni l'anno di previsioni sbagliate, dei quali 2 solo nei giorni di Pasqua e Pasquetta.

Vallo a spiegare agli albergatori, vallo a spiegare agli operatori degli sport invernali, vallo a spiegare all'immensa platea di lettori, ascoltatori, telespettatori, magari anche qualche milione, pronta a lanciare uova e pomodori per non aver previsto l'unico temporale sfuggito alle maglie d'indagine dei modelli, ma che magari ha allagato mezza Roma, proprio nel giorno dedicato alla tradizione della grigliata fuori porta.

E allora, cari lettori, ecco che anche noi in qualità di appassionati, siamo chiamati a difendere questa nobile scienza, siamo chiamati nel nostro piccolo a sottrarre i professionisti da questo medievale tiro al Meteorologo, siamo chiamati a fare da anello di congiunzione tra scienza e popolo, da pacieri tra la gente e il tempo. E se non verremo capiti, pazienza; da leggi perfette si cadrà comunque in risultati finali approssimati, con buona pace dei “geni” di ieri, di oggi e di domani.

Buona Pasqua a tutti!

Luca Angelini

23 marzo 2015: la Meteorologia spegne 65 candeline

Cade come ogni anno il giorno 23 marzo è la ricorrenza dell'entrata in vigore dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale, internazionalmente nota come WMO, World Meteorological Organization, posta in essere il 23 marzo del 1950. La Meteorologia moderna inizia da qui, 65 anni fa. L'istituzione nasce per diversi obiettivi scientifici, tra i quali spicca la standardizzazione dei rilevamenti meteorologici, allo scopo di rendere uniformi le pubblicazioni statistiche e le osservazioni strumentali. Si tratta di un'organizzazione cui aderiscono al momento 189 Paesi di tutto il Mondo.

Dalla costola della OMM nel 1988 ha visto nascere, come branca dedicata esclusivamente alla raccolta e alla valutazione dei dati relativi all'ambito del cambiamenti climatici, l'Intergovernmental Panel on Climate Change, meglio nota come IPCC.

Come ogni anno la ricorrenza si presta dunque alla sensibilizzazione su argomenti a sfondo climatico. Il 2015 ci invita a prender coscienza sulla necessità di adottare misure importanti e decisive per limitare gli impatti dei cambiamenti climatici. In un messaggio per la Giornata mondiale della Meteorologia, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon ha rassunto questo nuovo atteggiamento con il termine di resilienza. La resilienza è quella capacità di superare un cambiamento importante, onde evitare le conseguenze dannose che ne deriverebbero. E l'uomo è certamente in prima fila nel difficile ma inderogabile compito di adattamento al nuovo assetto climatico.

Luca Angelini

Eventi meteo anomali o estremi: qual è la differenza?

In questi tempi di “qualunquismo meteorologico” dilagante, diviene sempre più importante sapersi destreggiare nei meandri della terminologia corretta, soprattutto per quanto concerne i fenomeni meteo. Eventi intensi, anomali o estremi: sembra sia tutto sotto uguale, tutto insieme dentro l'occhio del ciclone, passatemi la battuta, quasi a farci credere stia succedendo tutto adesso, dopo decenni o addirittura secoli di (improbabile) quiete meteo-climatica. Il primo passo per esporsi di meno e capirci di più è porre l’accento sulla frequenza con la quale si stanno manifestando in giro per il Mondo eventi meteorologici anomali. Una premessa: cos’è un evento meteorologico anomalo? E’ una qualsiasi evenienza meteo i cui parametri di riferimento numerici oltrepassano il limite medio statistico della rispettiva climatologia.

Esempio: 65 millimetri di pioggia sono la media climatologica della piovosità di febbraio sulla città di Milano. Qualsiasi valore superiore od inferiore ad esso costituisce una anomalia. Se invece questi 65 millimetri cadono tutti in una giornata, piuttosto che nell’intero arco mensile, ci troviamo dinnanzi ad un fenomeno estremo. Altro esempio: 30 centimetri di neve a Bologna accompagnati da giornate di ghiaccio può essere la norma climatologica del mese di gennaio, diventa un evento anomalo a metà marzo, estremo a fine aprile. In questo caso anche la statistica inerente gli anni di ritorno dell'evento può darci un peso numerico alla rispettiva anomalia e dunque quantificarla correttamente per poi classificarla eventualmente quale evento estremo.

Il filo sottile che separa questa terminologia, apparentemente ma erroneamente ritenuta sinonima, è contemplata anche dai Climatologi, i quali prendono come parametro di riferimento l’impatto dei rispettivi eventi sul territorio e in particolare in termini di vite umane. Un evento anomalo per intensità mette a rischio vite umane, un evento estremo per intensità intacca anche la statistica climatologica.

Il cambiamento climatico in atto sta variando la statistica degli eventi estremi, poichè allunga l’ “elastico” climatologico. Si battono record di caldo ma anche di freddo, di piovosità ma anche di siccità. Come i più esperti certamente ricorderanno,ogni fenomeno meteorologico presenta una stretta dipendenza dalle condizioni iniziali, ovvero: cambiando anche di poco le condizioni iniziali di un sistema, l’innesco e la successiva evoluzione dei fenomeni sarà molto diversa. Nella fattispecie: a scala globale l’atmosfera può contare su un maggior quantitativo di energia potenzialmente disponibile. A scala sinottica o locale questo surplus energetico può essere quantificato dall’analisi di particolari indici.

Prendiamo ad esempio un ciclone tropicale: a prima vista nulla sembra essere cambiato dai decenni passati. La frequenza di innesco dei cicloni tropicali risulta immutata, così come la velocità massima dei venti al loro interno (forse anche per limiti alle strumentazioni?). Se però andiamo a fondo utilizzando l‘indice ACE (Accumulated Cyclone Energy Index), velocità del vento + durata, notiamo che i venti massimi nei cicloni tropicali durano più a lungo e non solo:l'indice PDI (velocità del vento + durata + estensione della tempesta) è anch'esso in aumento. Ciò dimostra che l'energia in gioco è evidentemente maggiore rispetto ai decenni precedenti.

E se facessimo uno studio analogo anche sui nostri temporali?

La circolazione generale dell’atmosfera, onde sopperire al mutamento dell’assetto energetico globale a disposizione, tende quindi a mal distribuire le risorse dei fenomeni meteorologici, con il risultato di un aumento degli eventi non solo anomali, di quelli intensi, ma soprattutto di quelli estremi. Nasce dunque l’esigenza di una migliore e più professionale informazione meteo-climatica, affiancata da una maggior cultura della materia da parte di tutti perchè alla fine, davanti al rischio di un evento estremo “back my home”, ognuno sarà sempre il meteorologo di sè stesso.

Luca Angelini

USA: questo strano inverno a due velocità

L’INVERNO ANOMALO IN AMERICA: America a due velocità, nevicate record nell’East Coast, siccità in California, ma anche inverno primaverile dell’Alaska e gelate anomale in Florida. Son tutti ingranaggi appartenenti allo stesso meccanismo, quello del cambiamento climatico in atto. Qualcuno potrà obiettare, asserendo che la super-neve dell’East Coast è sintomo di un clima che si raffredda, viceversa osservando l’inverno particolarmente mite (compatibilmente con la media climatica del luogo) trascorso in Alaska, si potrebbe intendere il fenomeno opposto. Analogamente sostenere che l’Artico non è mai stato così caldo dall’ultimo grande periodo inter-glaciale, ovvero da 125.000 anni, non dimostra nulla.

ANOMALIE PIU FREQUENTI: se queste anomalie, che finora hanno viaggiato passi di 100 mila anni, si ripresentano ora dopo 100 anni, poi dopo 10 anni, beh allora il discorso cambia. L'approccio corretto per superare l'impasse dovuta al pari planetario tra caldo da una parte e freddo dall'altro, è iniziare a disegnare un trend, una linea di sviluppo proiettata verso una direzione univoca, quella che il cambiamento climatico in atto ci sta effettivamente portando (e in parte ci ha già portato) verso un clima più caldo.

AMPLIFICAZIONE ARTICA: ora, le influenze di questi cambiamenti climatici sull’inverno (sarebbe meglio dire degli ultimi inverni) del nord America attingono la loro origine diretta da un noto fenomeno fisico, l’Amplificazione Artica. Lo abbiamo descritto per esteso in questo articolo di qualche tempo fa: La minor copertura glaciale dell’oceano Artico, ha determinato un maggior assorbimento di energia solare per diminuito effetto albedo e isolamento nivo-glaciale e dunque un aumento della temperatura media che, alle alte latitudini, ha raggiunto valori maggiori rispetto al resto del Pianeta.

IL PROBLEMA DELLA PERSISTENZA: il gradiente di temperatura, e quindi di pressione, tra le latitudini polari e quelle intermedie risulta quindi più lasco e la Corrente a Getto Polare più ondulata in senso meridiano. Ma quando un’onda atmosferica raggiunge una particolare lunghezza (determinata da un numero noto come numero di Rossby) tende a divenire stazionaria, a bloccarsi e dunque a causare situazioni di persistenza.

L’ALASKA RIDGE e la SICCITA IN CALIFORNIA: nel caso del nord America (ma situazioni analoghe sono individuabili anche a livello europeo) l’amplificazione dell’onda avviene a carico del cosiddetto “Alaska Ridge”, che consiste nello sviluppo e nello stazionamento di un campo di alta pressione anomalo tra lo Stretto di Bering e l’Alaska, con coinvolgimento di tutto il comparto occidentale nord-americano. Si pongono così in essere su queste zone le condizioni favorevoli a prolungati periodi siccitosi e più caldi della norma.

LE MAXI NEVICATE NELL’EAST COAST: il Getto in arrivo dal Pacifico poi, sottoposto ad una tipica ondulazione a valle delle Montagne Rocciose (effetto dovuto alla rotazione terrestre) , tende a deviare verso sud a partire della Great Plains (comparto centrale statunitense), per poi risalire verso nord sull’East Coast. Il contrasto tra questo forcing dinamico che porta aria mite e umida a scorrere in quota sopra lo zoccolo gelido che trafila dall’Artico Canadese nei bassi strati, è all’origine delle intense perturbazioni e quindi delle abbondanti nevicate su quei settori.

LO STUDIO: se fino ad oggi quanto descritto faceva parte della sinottica “accademica”, ora è supportato da un recente studio “Evidence for a wavier jet stream in response to rapid Arctic warming”, pubblicato su IOPScience da Jennifer Francis, dell’Institute of Marine and Coastal Sciences della  Rutgers University, e Stephen Vavrus,  del Center for Climatic Research dell’Università del Wisconsin-Madison.

La ricerca è iniziata dopo il disastro dell’uragano Sandy, quando la Corrente a Getto provocò  una brusca virata della tempesta, mandandola a impattare il Jersey e New York City.  Dalla ricerca si evince che “Dagli anni ’90, modelli di jet-stream molto ondulati dovuti all’Amplificazione Artica, si stanno verificando sempre più spesso ed ora stanno interessando anche altre zone dell’emisfero settentrionale, imponendo un forcing attivo lungo tutte le quattro stagioni dell’anno.

COMMENTO FINALE: come possiamo notare, l’impatto dei cambiamenti climatici è molto più vistoso da un punto di osservazione indiretto, ovvero attraverso l’analisi dei fenomeni meteorologici, che direttamente, dalla semplice analisi del campo termico. La sfida più grande nel campo della ricerca scientifica nei prossimi anni, sarà senz’altro quella di individuare in via univoca questa risposta atmosferica e collegarla poi ad una causa particolare, una sorta di processo inverso: capire i cambiamenti climatici partendo dai cambiamenti del tempo e delle sue regole. Il clima andrà ancora avanti per la sua strada, sta a noi imparare a rispettarlo e stargli al passo. Chi si ferma è… perduto.

Luca Angelini

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