Nubifragi e grandinate: l'evidenza di un mito da sfatare

Stamani alcuni quartieri di Milano si sono svegliati completamente allagati dall'esondazione del fiume Seveso. Non è la prima volta che accade, e non sarà l'ultima.
I problemi sono sempre i soliti, in particolare il fatto di aver costretto un fiume a scorrere in un letto stretto, per lunghi tratti modellato dall'uomo, che alla prima occasione viene vinto dalle forze naturali come accade in tante altre città in simili condizioni.

Ok, ma stavolta ha piovuto DAVVERO forte, e tanto; non solo a Milano, ma lungo tutto il bacino e ancor più a monte: si contano parecchie zone che hanno registrato picchi ben oltre i 100 millimetri in 3 ore, se non fino a 150 verso le Prealpi.
E allora in questo caso è giusto parlare di nubifragio, di un fiume che forse non avrebbe potuto reggere questa portata anche in un letto naturale, di disagi che magari non erano prevedibili nei dettagli, ma che quel grosso temporale non poteva certo risparmiare.
Il tutto poi è stato preceduto, ieri, da altri forti temporali sparpagliati lungo le pianure del Nord Italia.

Tutta questa lunga premessa per parlare in realtà di altro, del fatto che per avere temporali e piogge eccezionalmente abbondanti non è necessario avere chissà quali condizioni di partenza dal punto di vista delle temperature e della umidità.
Nei giorni scorsi in Pianura Padana ha fatto caldo, sì, ma senza particolari eccessi: c'è stata qualche punta sopra i 30 gradi, dell'afa (più che normale in una piana alluvionale) e niente di più. La miccia del temporale è stata accesa da venti freschi nati 4 giorni fa in Groenlandia e poi scivolati fin sul Mediterraneo nella giornata di ieri.
Quindi, ciò che voglio sottolineare è che in questa come in tutte le altre occasioni quello che conta per la valutazione dell'intensità di un peggioramento – come per tanti altri aspetti della previsione meteorologica – è il GRADIENTE, ossia la DIFFERENZA NELLO SPAZIO di temperatura e umdiità, NON i valori assoluti prima e dopo il peggioramento. Da questo poi dipende direttamente anche la velocità di movimento delle varie masse d'aria, che a sua volta determina l'intensità di un cambiamento assieme ad altri fattori.

Quante volte, alla fine di una estate particolarmente calda, abbiamo pensato che con quelle premesse al primo sbuffo di aria meno calda sarebbero successi sfracelli?
E quante volte alla fine del primo peggioramento abbiamo contato solo alcuni temporali molto veloci e poco incisivi nel moderare la calura?
La chiave sta proprio qui: la differenza di temperatura e umidità tra la massa d'aria già presente e quella in arrivo, in molti casi non sufficiente.
Impariamo quindi – una volta per tutte – a fare tesoro di occasioni come questa e a valutare un cambiamento del tempo NON attraverso i valori assoluti, ma valutando le differenze nelle caratteristiche tra la massa d'aria già presente e quella in arrivo.

Il geopotenziale, questo sconosciuto

E' il non plus ultra dei parametri meteorologici per i tecnici del settore.
E' utile, affascinante, capace di fornire un sacco di informazioni ricavabili da mappe alla portata di tutti.
E' il geopotenziale, quel qualcosa di misterioso che spesso e volentieri viene confuso senza troppi complimenti con la pressione, ma che in realtà fa riferimento a un qualcosa di molto più complesso.
Si parla in sostanza di una misura combinata di temperatura, pressione e umidità.
In particolare per ottenere un valore di geopotenziale ad una certa quota bisogna seguire le istruzioni di una ricetta un po' impegnativa, e rimboccarsi le maniche: si prende lo strato d'aria che sta sotto questa quota di riferimento, se ne misura la temperatura virtuale (un qualcosa che somiglia alla temperatura e dipende da quanto è umida l'aria), la si pesa con una funzione della pressione a quella quota, con una funzione della pressione al suolo, e poi si moltiplica l'impasto per un qualcosa di complicato che faccia diventare il tutto un'energia specifica.

Bello, no?
Uhm, sì, suona bene, ma è sempre troppo complicato per i nostri gusti.
Proviamo allora a vederla così: il geopotenziale è il potenziale del campo di gravità terrestre. Punto.
No, poco utile anche questo. Meglio andare direttamente la definizione che ci danno tanti libri: “Il geopotenziale è l'energia che serve a vincere la gravità per portare un chilo d'aria dal suolo fino alla quota di riferimento”.
Ecco, già qui possiamo immaginare qualcosa di più: con un geopotenziale basso non ci sarà bisogno di grosse spinte per far salire l'aria, con un geopotenziale alto difficilmente costruirò delle nuvole alte e robuste.

Bene, qualcosa comincia a diventare più chiaro. Ma agli effetti pratici, a cosa ci serve tutto questo?
Senza andare a impelagarsi nelle equazioni, basti pensare che:

– una mappa del geopotenziale ad una certa quota su larga scala ci dice anche in che direzione e con quale forza (relativamente ai dintorni) scorre il vento a quella quota. Ad eccezione di casi particolari come ad esempio fronti o mesocicloni, infatti, il vento viaggia esattamente parallelo alle linee di uguale geopotenziale
– confrontando mappe di geopotenziale a quote differenti potremo conoscere meglio la struttura di alte e basse pressioni: se sono di natura dinamica o termica, se sono limitate all'alta quota, alle quote più basse, ecc. ecc. Tutte informazioni estremamente utili per capire che tipo di tempo farà
– sovrapponendo invece mappe di geopotenziale a mappe di temperatura alla stessa quota si può capire – ad esempio – se una bassa pressione ha concluso il suo ciclo di crescita (verificando se le isolinee dei due parametri sono parallele tra loro) oppure è ancora attiva o in crescita (se invece si incrociano)
– geopotenziali bassi associati a pressioni relativamente alte al suolo indicheranno probabilmente aria relativamente fredda e asciutta lungo tutta la colonna, e viceversa geopotenziali alti associati a pressioni relativamente basse indicheranno aria piuttosto calda e umida lungo tutta la colonna

E così via …
Volendo essere pignoli fino in fondo dovrei precisare che il parametro generalmente visibile sulle mappe non è il geopotenziale ma l'altezza di geopotenziale, che si ottiene dal primo rapportandolo all'accelerazione di gravità al suolo.
E' una altezza, appunto, grossolanamente corrispondente alla quota vera e propria con un errore che varia da zero al suolo fino allo 0,14% a 10 km di altezza, e ancora di più mano a mano che si va verso l'alto. Più che sopportabile, sicuramente.

Il geopotenziale quindi è un qualcosa di estremamente utile per chiunque abbia un minimo di pratica con le mappe meteorologiche e abbia voglia di avventurarsi in una previsione del tempo un po' più articolata e attendibile.

Solleone: di chi è la colpa?

Il primo giorno di caldo estivo si avvia a conclusione.
Dall'ultima discussione che abbiamo fatto sono passati alcuni giorni, durante i quali la bassa pressione africana che seguivamo è passata sul Mar Libico per poi dissolversi, mentre sul Marocco – nemmeno sfiorato dal suo passaggio – l'aria si stava facendo rovente.
Tuttavia anche Algeria e Tunisia si sono scaldate velocemente, grazie ai cieli resi limpidi ai raggi solari dai venti asciutti soffiati all'interno della bassa pressione. Quindi, nel complesso, in un paio di giorni l'Africa mediterranea tra Marocco e Tunisia è passata da una condizione di brutto tempo a giornate molto calde, asciutte e limpide.
C'era quindi da aspettarselo che l'aria calda, al primo calo di pressione tra Spagna e Francia per l'arrivo di un fronte atlantico avrebbe tentato di risalire verso l'Europa.

E così è stato. Ma l'aria calda ha trovato subito un ostacolo: il mare ancora fresco, pienamente in grado di mitigare la calura.
I primi refoli bollenti sono dovuti quindi passare sul Mare di Alboran (stretto e calduccio) per poi risalire – richiamati dalla bassa pressione atlantica in arrivo – lungo le coste mediterranee, filtrando dalle valli dei Pirenei per poi dilagare in Francia e verso l'Europa centrale, costruendo una grossa bolla calda che di rimando sta iniziando a far sentire i suoi effetti anche su di noi seguendo le correnti sulla terraferma, scivolando dal Settentrione verso sud.

Sta nascendo cioè quello che in termini tecnici è chiamato “promontorio”, una sorta di insenatura di aria calda che dal Tropico si insinua all'interno del grande lago di aria più mite delle nostre latitudini colpendo – in questo caso – anche una parte dell'Italia.
Niente di anomalo, nelle linee generali: è un fenomeno che può capitare in estate come in inverno, arrivando alle latitudini medie o talvolta anche fino all'Artico; e per ogni stagione e latitudine porterà effetti diversi in termini di caldo relativo e tempo più o meno soleggiato. In estate – in particolare – porta gran caldo e sole spesso presente.

Solitamente, per familiarizzare un po' con un argomento altrimenti ostico, si usa parlare di anticiclone africano se il promontorio colpisce direttamente il Continente Europeo, per distinguerlo dall'anticiclone delle Azzorre, che non necessariamente è un promontorio, ma è pur sempre sempre generato da aria di origine tropicale; tuttavia l'anticiclone delle Azzorre ha alcune caratteristiche differenti che lo portano ad associarlo a una calura più sopportabile.
La fascia delle alte pressioni tropicali è infatti caratterizzata dalla continua discesa dell'aria dall'alto verso il basso, da compressione della stessa verso il suolo, e dal suo riscaldamento a tutte le quote interessate dalla struttura (dai 12-14 chilometri in giù, in media). Ma l'aria così diventa più asciutta e limpida, e i raggi solari possono colpire il terreno più facilmente, surriscaldando ulteriormente l'atmosfera in basso e favorendone di nuovo la risalita verso l'alto (convezione) per alcune centinaia o migliaia di metri, facendo calare la pressione.
Insomma, sulla terraferma in caso di anticiclone della fascia subtropicale si ha – grossolanamente – aria che viene compressa dall'alto verso il basso, ad eccezione della fascia di atmosfera più vicina al suolo dove, in presenza del Sole, l'aria invece va verso l'alto facendo calare la pressione sul suolo.
Nell'aperto oceano delle latitudini medie invece il comportamento sarà diverso, perché l'acqua fresca mitigherà l'effetto dei raggi solari sulle temperature, mantenendo l'aria vicina alla superficie meno calda e più stabile, senza convezione evidente. Di conseguenza qui la pressione rimarrà in media più alta che sulla terraferma.

Ecco perché l'anticiclone delle Azzorre, che arriva dall'oceano, è ben visibile anche sulle classiche mappe del tempo come una vasta zona con pressione più alta dei dintorni. Ed ecco perché invece spesso – come in questi giorni – all'anticiclone africano corrispondono pressioni relativamente basse (se non addirittura depressioni chiuse vere e proprie) al suolo, specialmente sulla terraferma.
Si può quindi parlare di anticiclone (o alta pressione) in ogni caso, in quanto entrambi fanno parte (come tutte le alte pressioni strutturate sulla faccia della Terra) di deformazioni o normali oscillazioni stagionali di posizione della fascia di alta pressione tropicale.

Ok, ma … da tutto questo baillamme non abbiamo ancora capito quanto durerà il caldo.
La bolla calda sull'Europa verrà alimentata dall'aria africana finché non si chiuderà il collegamento lungo la terraferma spagnola; e questa chiusura arriverà martedì, quando finalmente l'aria fresca portata dalla perturbazione oceanica riuscirà – scorrendo lungo il versante francese dei Pirenei – a traboccare verso il Mediterraneo (vedi figura). Da questo momento la bolla calda si esaurirà lentamente, ma l'Italia vedrà almeno altri 2-3 giorni di solleone, specialmente al Nord e al Centro.
A seguire il tempo potrebbe cambiare; ma è meglio rimandare alla prossima discussione.

Mappa GFS MeteoNetwork di temperatura a 850 hPa

Quella strada ancora aperta

Gli anni 2000 ci hanno abituati ad assaporare i primi caldi estivi molto precocemente, addirittura talvolta prima della metà di aprile; quest'anno invece non ci sono ancora state vere e proprie ondate di caldo.

Fra tutti i motivi che potremmo ricercare per spiegarci un comportamento che ci appare quasi curioso – ma che in realtà è del tutto normale nelle linee generali – possiamo concentrarsi su quello che è un dato di fatto: le alte pressioni oceanica e africana non hanno ancora mostrato l'intenzione di risalire verso l'Europa.
Magari questo avviene perché durante tutto l'inverno l'Europa non è mai stata coperta da una coltre nevosa sufficiente a raffreddare il Continente, e allora alla fine della brutta stagione la Corrente a Getto è rimasta troppo vivace, per troppo tempo, troppo a Nord, stimolando la continua discesa di aria fresca e instabile dall'Artico verso il Continente. Può darsi che sia così, come può essere che tra le cause vadano invece ricercate in anomalie della circolazione dei venti tra il Tropico e l'Equatore.
E' però ancora tutto in divenire, e quindi difficilmente per alcuni mesi ancora potremo avere un'analisi soddisfacente dell'evento.

Fatto sta che l'Europa non si è ancora scaldata in maniera esagerata, almeno tra l'Oceano, la parte centrale e il Mediterraneo; così come sta succedendo lo stesso per una parte del nord Africa.
La conseguenza prima è che le alte pressioni non trovano il terreno pronto per il proprio insediamento, e in mancanza di una Corrente a Getto che le sostenga faticano a risalire verso il Continente.
E allora le soffiate di aria fresca e instabile che ancora raggiungono la terraferma europea dalla strada più vicina (la calotta a nord della Russia) si stemperano molto lentamente, e possono proseguire indomite la loro corsa finché non trovano altri mari, altri bacini d'acqua sui quali costruire basse pressioni che le rimescolino all'aria più calda.
Una di queste sbuffate fresche – in giro sull'Europa centrale da un paio di giorni – sta scivolando verso le coste mediterranee della Spagna, senza trovare particolari ostacoli.
Qui, sentendo la presenza del mare, riuscirà a costruire nuvole e piogge, con una bassa pressione che l'aggancerà accelerandola e facendogli superare il breve tratto di mare che la separa dall'Africa. Si troverà di punto in bianco catapultata in un territorio nuovo, desertico, ma non ancora surriscaldato; potrà allora scorrere ancora qualche decina di chilometri verso sud, fino a che non si troverà di fronte l'aria rovente del Sahara.
I contrasti diventeranno velocemente insostenibili, e la bassa pressione – arrivata ormai appena a sud dell'Atlante – si approfondirà velocemente, diventando lunedì una vera e propria pompa di calore, che scorrendo dall'Algeria verso la Tunisia e poi il Mar Libico soffierà con venti forti l'aria rovente più a nord, fino appunto a toccare il versante sud dell'Atlante e il basso Mediterraneo, dove lo Scirocco soffierà l'aria africana come noi la conosciamo.
L'Italia però non risentirà di questo caldo; anzi, probabilmente vedrà solo del vento forte di richiamo su alcune regioni del Meridione (se non addirittura solo al largo sullo Ionio e tra Pantelleria e Lampedusa) e isolati forti temporali sempre all'estremo sud.

Dopo questa veloce sfuriata l'Algeria vedrà il ritorno della calma, con temperature un po' più alte sulle coste, un po' più basse sul vicino deserto; nel frattempo in Marocco – in larga parte non toccato dai venti freschi – l'aria rimarrà ben calda, e allora …
E allora ne parliamo alla prossima puntata.

Alluvione su Genova

Come accaduto per l’alluvione di un paio di settimane fa nel Levante, la violenza del peggioramento ha creato le condizioni per un allagamento lampo di proporzioni esagerate, non ai livelli del tragico ottobre 1970 ma comunque assolutamente disastrose, purtroppo con un esito anche mortale.

Già l’immagine del satellite del 2 novembre lascia presagire che quanto sarebbe avvenuto nei giorni successivi non sarebbe stato molto facile per la zona ligure.

Un importante fronte si estende dall’Islanda alla zona del Maghreb, raramente si possno vedere situazioni così tanto estese ed importanti.

La perturbazione ha inizio nella notte tra il 3 e il 4 novembre; le zone colpite dalla precedente alluvione vengono fortunatamente graziate a causa di un impianto barico favorevole, con un minimo posizionato nel comparto francese, in discesa poi nel Golfo del Leone; questo fatto, grazie anche ad un imponente muro di alta pressione, ci ha portato ad avere uno scirocco molto intenso.

Fortunatamente in caso di scirocco il levante ligure già colpito dalla scorsa perturbazione viene graziato dalle violente precipitazioni dei giorni successivi perchè se nel Golfo del Tigullio soffia un forte scirocco, non permette alla pioggia di scendere mentre invece al di là del monte il tempo si sa perfettamente che potrà avere potenzialità ben maggiori.

E i modelli matematici sono stati sicuramente molto chiari a prevedere una situazione alquanto esplosiva nella zona del genovesato.

Ma nella cronaca di quel giorno, è già dal mattino che si può capire quanto la situazione possa divenire più delicata nelle ore successive, in quanto si segnalano allagamenti e frane locali a Camogli mentre fortunatamente il territorio tra Recco e Bogliasco riesce a smaltire le piogge senza grosse difficoltà.

I disagi cominciano ad aver luogo dai quartieri orientali di Genova: in quel di Nervi si hanno allagamenti diffusi, così come a Quarto. Ma ciò è nulla in confronto a quanto avviene nelle zone immediatamente settentrionali del centro cittadino. Già in mattinata i pluviometri della zona centro-orientale di Genova raggiungono con terrificante scioltezza la tripla cifra in quanto a millimetri caduti.

Problemi serissimi emergono intorno a mezzogiorno, con l’inizio dell’esondazione del Rio Fereggiano, torrente che scorre in mezzo al quartiere di Marassi: il letto cementificato e canalizzato non riesce a sopportare il terribile fardello di acqua.

A metà giornata, in alcune zone della città, s’era già raggiunta la spaventosa cifra di 300 mm.

La situazione è drammatica, si verificano allagamenti in ogni dove: davanti a Brignole, in Corso Sardegna, in fondo a Via XX Settembre bidoni della spazzatura corrono insieme alle macchine, in balia degli elementi. Dopo il Fereggiano,anche il Bisagno incute timore: l’altezza dell’acqua sale al livello dei numerosi ponti, inondandone addirittura alcuni e allagando completamente Borgo Incrociati. Si segnala anche una voragine apertasi in Via Donghi.

Fonte: genovatoday.it

Alle ore 14 Quezzi raggiunge l’immane quantità di 500 mm di pioggia caduti; nel resto della città, i pluviometri raggiungono livelli molto vari mentre da segnalare come nelle delegazioni occidentali, a parte qualche scroscio notevole, la situazione si manteneva tutto sommato tranquilla, mentre invece assume contorni drammatici  in Valle Scrivia, dove la pioggia,che alle 14 aveva raggiunto e superato i 200 mm, ha fatto ingrossare pericolosamente il torrente Scrivia mentre al largo della costa dei quartieri orientali, in testa alla linea autorigenerante della perturbazione si sono formati dei mesocicloni che hanno generato addirittura dei tornado.

Fonte: Eco di Bergamo

Questo è il punto in cui il rio Fereggiano si va ad incontrare nella sua foce con il fiume Bisagno.

Si può notare come l’ incrocio delle loro direzioni sia di ostacolo per un normale deflusso delle acque, ma per fortuna è nel primo pomeriggio il momento in cui le piogge vanno scemando, spostandosi verso i quartieri occidentali della città, dove è ancora vivo nelle menti di tutti il disastro dell’ottobre 2010, quando si verificò l’alluvione a Sestri Ponente. Per fortuna, pur gonfiando in maniera preoccupante il Polcevera e il Chiaravagna, le precipitazioni nella zona occidentale della città si mantengono moderate, con rain rate decisamente inferiori a quelli monsonici avuti in buona parte della città. Nell’entroterra lo Scrivia esonda a Casella, alimentando ulteriori preoccupazioni.

In tarda serata, un’altra coltellata: poco prima della mezzanotte, altri violenti scrosci che aumentano ancor di più gli esagerati accumuli della giornata: Quezzi terminala giornata del 4 novembre con 556,5 mm di accumulo, di cui 158,5 in un’ora. Nelle altre zone delle città, va sopra i 400 Marassi, in altri quartieri si svaria da 150 a 300 mm di pioggia. Nell’entroterra, si segnalano oltre 400 mm anche a Casella, mentre nel resto della regione, la situazione è del tutto tranquilla.

La tensione e la paura giocano brutti scherzi il giorno successivo, che si apre con pioggia moderata, a livelli infinitamente minori rispetto alla giornata precedente: si teme una nuova esondazione del Fereggiano, nonostante il livello sia sceso di diversi metri. Per fortuna, la rottura di un argine non ha creato problemi al decorso del fiume ma la reazione di paura e panico è comprensibile.

La situazione rimane di stallo:continua a piovere su Genova, in maniera però moderata mentre l’intensità è maggiore nell’entroterra della parte centro-occidentale della regione e nella zona orientale del Golfo del Tigullio. La perturbazione si espande anche verso Ponente, dove è incorso peraltro una mareggiata: è da segnalare anche l’esondazione del Var nei pressi di Nizza.

Il sabato a Genova si conclude con qualche raggio di luna visibile tra le nuvole, dopo una giornata intera di pioggia moderata. La situazione si fa invece critica nell’entroterra: in Valle Scrivia si sale in tripla cifra per il secondo giorno consecutivo e si segnala il cedimento di una massicciata della SSP 226 della Valle Scrivia a Savignone, che taglia in due la parte alta della vallata. La perturbazione si concentra ormai nell’entroterra con caratteristiche di stau: si segnalano accumuli significativi, oltre alla già citata Valle Scrivia, nell’entroterra ingauno e imperiese.

Nonostante un leggero miglioramento nelle giornate di domenica e lunedì, la svolta meteorologica è ancora lontana: nella notte tra lunedì 7 e martedì 8 novembre tornala paura. Un nuovo temporale rigenerante colpisce la città che tenta faticosamente di rialzarsi: i dati sono nuovamente terribili, si raggiungono quantità superiori ai 100 mm in molte zone della città,con nuovi rischi di esondazione da parte del Fereggiano ma per fortuna non ci sono ulteriori danni. La perturbazione scema quindi verso Ponente, senza causare però preoccupazioni.

Si può dire che la tempesta sia finalmente passata. Qualche dato: a Quezzi si sono registrati oltre 750 mm di pioggia tra venerdì e martedì, a Marassi circa 550 mm, ad Albaro 600 mm, a San Fruttuoso 500 mm, a Struppa 380 mm, a Quarto Alto oltre 400 mm. Una considerazione: è notevole la differenza di pioggia caduta da una zona all’altra della città, ennesima prova della stupefacente variabilità del clima della regione.

Purtroppo, c’è da fare un altro bilancio, molto più triste: sei vite sono state strappate via dalla furia dell’acqua, che ha invaso magazzini, negozi, garage e androni della zona di Marassi e di Quezzi. A loro e alle loro famiglie vanno le nostre più sincere condoglianze.

A perturbazione conclusa, Genova sta tentando lentamente di rialzarsi, come già successo dopo la disastrosa alluvione dell’ottobre del 1970: gli Angeli del Fango sono già al lavoro dal fine settimana scorso e la popolazione genovese e non si sta rimboccando le maniche, per tornare alla normalità il prima possibile.

Vorremmo concludere questa fredda analisi con una citazione, letta su internet in questi giorni.

NoiLiguri siamo gente strana: la nostra Terra ci ha insegnato che non ci si devono aspettare regali, che tutto deve essere guadagnato con il lavoro, i nostri nonni si sono guadagnati ogni singolo metro di terra da coltivare, strappandola da una parte al mare e dall’ altra all’Appennino che ci si tuffa dentro, costruendo case su speroni di roccia trasportando pietra dopo pietra su dalle ripide creuze. Per questo siamo diffidenti e scontrosi, eppure leali con chi lo merita.

Un Ligure piange dentro mentre si rimbocca le maniche ed inizia per l’ennesima volta a ricostruire quello che la natura gli ha tolto. Accettiamo gli aiuti con pudore, ringraziando con un mezzo sorriso ed un bicchiere di vino. Noi Liguri siamo fatalisti, guai a toglierci il diritto al mugugno, ma mentre mugugnamo spaliamo il fango dalle nostre case, e recuperiamo i nostri ricordi. Dai Liguria che ti rialzi anche questa volta. (cit. Paolo Solari)

Autori Emanuele Gianello (cronaca) – Andrea Redigolo (sinottica)

Alluvione nel levante ligure

Attesa e prevista dai modelli con ampio anticipo, la perturbazione del 25 ottobre ha messo letteralmente in ginocchio il levante ligure, un territorio sicuramente abituato a piogge autunnali abbondanti  ma per il quale la violenza di questo peggioramento è stata assolutamente fuori portata.

Nella serata del 24, con le prime, timide precipitazioni, i livelli di accumulo si mantengono più o meno moderati su buona parte della regione, con picchi insolitamente alti anche nel Ponente ligure e nell’entroterra, addirittura più che nel Genovesato e nelle immediate vicinanze. Sicuramente, la tramontana scura ha influito notevolmente sui dati provenienti dal Genovese, mentre altrove, in assenza o calma di vento, si è registrato un notevole “buco” precipitativo: non a caso, una località come Sori, colpita molto moderatamente dalla perturbazione, ha raggiunto un accumulo di 20 mm di pioggia, mentre a Zoagli, a una ventina di km di distanza, ne sono caduti all’incirca 70. La differenza è evidente ma si parla di inezie, in confronto a quanto avvenuto a pochi chilometri di distanza.

I modelli avevano messo da tempo la Liguria in prima fila, perchè è risaputo cosa può potenzialmente accadere nella zona ligure e tirrenica ogni volta in cui vi siano i presupposti per un’entrata di correnti umide atlantiche nel bacino del Mediterraneo. E’ inoltre spesso questo il periodo in cui le prime entrate piovose possono risultare molto importanti:come successo anche l’anno scorso con l’alluvione che ha colpito il genovesato (da Varazze a Sestri Ponente), spesso in passato si è dovuto far fronte a veri e propri fenomeni convettivi, che possono creare condizioni di pioggia molto intensa e duratura.

Fenomeni di questo tipo vengono definiti come “autorigeneranti”, ovvero sono quei fenomeni che, come recita la parola stessa, riescono a generare in modo continuativo condizioni alluvionali.

Prova ne è che il grosso della perturbazione si è scaricato nel triangolo compreso tra Levanto a ovest, Vernazza a est e Brugnato a nord: come possiamo osservare sulla carta dei venti qui di seguito, si nota come le correnti di tramontana discendenti dal comparto genovese vadano ad impattare con le correnti tese provenienti da sud.

Ciò porta ad una situazione di convergenza delle correnti, che fa sì che un maggiore afflusso di correnti umide al suolo subisca una spinta che le porterà in quota, tale da portare all’ormai triste fenomeno dell’autorigenerazione dei fenomeni.

Dall’ immagine del satellite si può notare come questa forte spinta dal suolo crei un importante cono di nuvolosità, segnale inequivocabile di quanto stava avvenendo nel territorio dello spezzino.

E non solo il satellite dava una testimonianza diretta di quanto stava avvenendo in quella porzione di regione, ma anche il radar meteorologico dell’ ARPAL, che evidenziava l’imponenza del quantitativo precipitativo e la persistenza di queste pesanti condizioni atmosferiche sempre sullo stesso lembo di territorio.

Un’immane quantità d’acqua ha colpito dal mattino le località comprese in quest’area, dando luogo a un’alluvione che rimarrà senza dubbio nella storia meteorologica della nostra regione. La violenza delle precipitazioni è facilmente intuibile dagli spaventosi accumuli avuti nell’arco di una giornata: in questa zona, i dati registrati dai pluviometri sono schizzati mediamente al di sopra dei 200 mm, con puntate locali ben oltre i 300 mm e gli estremi di Calice al Cornoviglio, con 460 mm e di Brugnato, dove sono caduti circa 540 mm (ovvero 540 lt  per metro quadrato) di pioggia.

La perturbazione ha cominciato a manifestarsi in maniera tutto sommato moderata nella notte;  a metà mattinata il volume delle precipitazioni è aumentato esponenzialmente, mantenendo un rain rate notevole fino a metà pomeriggio, quando la pioggia si è finalmente calmata. A questo punto è però subentrato un altro grave problema, dovuto alla conformazione morfologica della Val di Vara e del territorio delle Cinque Terre: il Vara e molti altri torrenti della zona sono tracimati in più punti, scaricando una quantità immensa di fango, terra e detriti verso valle, causando così allagamenti più o meno diffusi.

La tragedia è dietro l’angolo: le operazioni di soccorso procedono a rilento, a causa di frane, smottamenti e allagamenti che interessano quasi tutte le strade provinciali; ci si arrangia come si può: a Vernazza e Monterosso, devastate dalla furia dell’acqua, si procede con l’evacuazione via mare mentre nei comuni dell’entroterra molte persone si sono rifugiate sui tetti delle abitazioni.

Autori Emanuele Gianello (cronaca) – Andrea Redigolo (sinottica)

L’alluvione nel Piemonte occidentale: analisi di una tragedia

Con qualche settimana di ritardo, per la quale ci scusiamo, vi alleghiamo la terza ed ultima parte dell’analisi relativa all’alluvione del Maggio del 2008 in Piemonte. Nel particolare trovate qui di seguito le foto e la cronaca dei danni più gravi subiti dalle province di Cuneo e Torino. Come i precedenti, anche questo approfondimento è curato dalla Sezione Regionale di MNW Piemonte.

Premessa-allevento-meteorico-del-28-30-Maggio-2008-lv
Analisi-Alluvione-Parte-Seconda
Alluvione-nel-Torinese
Alluvione-nel-Cuneese

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