Effetto Albedo: il grande equivoco

Dopo una bella nevicata gli appassionati aspettano poi una notte serena e calma, per vedere se la colonnina di mercurio scende di parecchi gradi sotto lo zero e per poter quindi godere del gelo vero e proprio.
Il ragionamento fila, e ha anche dei riscontri recenti: basta guardare alle zone tra Cremonese e Parmense, che nei giorni scorsi hanno avuto nevicate abbondanti, e poi – dopo nottate calme e limpide – hanno registrato temperature fino a -9/-10°C.

Effetto Albedo

Ok, fin qui ci siamo.
Tuttavia ciò che gli appassionati sbagliano è il considerare questo risultato come frutto del cosidetto Effetto Albedo, un fenomeno fisico riconosciuto e che in presenza di neve raggiunge picchi altrimenti poco evidenti.

L'Effetto Albedo – nell'ambito che ci interessa – è il risultato del fatto che la neve ha un colore bianco, e che quindi riflette completamente (o quasi) la radiazione elettromagnetica – ossia la luce – che gli arriva addosso.
Quindi, già da questo, si capisce che non può avere un ruolo di notte, quando di luce non ce n'è.
E' invece molto importante in presenza del sole, perché con un manto nevoso uniforme a coprire il terreno comporta la riflessione di tutta la luce (e dell'energia!) del sole verso l'alto, e quindi se l'aria è asciutta anche la sua dispersione. Ciò fa sì che le temperature durante il giorno (!) rimangano molto basse, talora anche al di sotto dello zero pure nelle nostre pianure.

Quello che fa calare invece così tanto le temperature notturne è il fatto che con un manto nevoso esteso e spesso il terreno viene completamente isolato dall'atmosfera; quindi ciò che durante la notte perde calore verso lo spazio raffreddando l'aria non è più il terreno, ma direttamente il manto nevoso. E allora la perdita di calore rispetto al terreno nudo è molto più veloce, perché al normale irragiamento si somma anche un altro fenomeno fisico: la sottrazione di calore latente (in grosse quantità) all'atmosfera a causa della veloce e consistente sublimazione dei cristalli di neve e ghiaccio nell'aria secca.
Il calore latente è energia che viene liberata o “imprigionata” da un materiale (nel nostro caso l'acqua) quando subisce un cambiamento di fase da solido a liquido, da solido a gas, o da liquido a gas, e viceversa. Nello specifico quando l'acqua passa dallo stato solido a quello di vapore viene imprigionata una gran quantità di calore; quanto basta per far scendere in maniera consistente la temperatura dell'aria.

Entrambi gli effetti – Effetto Albedo e sottrazione di calore latente – perdono invece importanza quando l'aria è umida o il cielo è nuvoloso; e allora in questi casi il calo della temperatura associato è molto meno marcato.

GELO siberiano, quel grido rimasto inascoltato

L'inverno si avvia verso le sue battute finali, 15 giorni o poco più ci separano dai primi resoconti statistici sulla stagione e la mente corre indietro a quel periodo di grandi aspettative, quando si avvicinavano i giorni del Natale, la luce del giorno era ridotta ai minimi termini, la notte si prendeva la sua rivincita e da più parti ci si chiedeva quali sorti avrebbe avuto l’inverno. In particolare il richiamo si alzava sempre più alto alla spasmodica ricerca del vero, grande, unico protagonista degli inverni da leoni dei decenni passati, l’anticiclone russo-siberiano, ben noto alle schiere di appassionati, come l’Orso.

In realtà una risposta era stata tentata da un gruppo di ricercatori, i quali avevano notato una sorta di correlazione tra l’aumento della copertura nevosa sul continente europeo nel mese di ottobre e la svolta fredda dell’inverno. L’indice in oggetto è l’OPI. Dati alla mano però, e oltretutto con il senno di poi, è ora inopinabile il fatto che la ricerca mostra una importante lacuna, emersa proprio nel corso di questa stagione invernale: e se a partire da novembre, la copertura nevosa arretra nuovamente verso la Russia?

In altre parole l’OPI risulta legato all'andamento dell'Oscillazione Artica e dunque anche alla possibilità di formazione, sviluppo e mantenimento di un campo di alte pressioni di tipo termico sul continente all’inizio del semestre freddo, evento che si manifesta soprattutto grazie alla presenza di vaste distese innevate, anche con l'ausilio dell’albedo. Ad una partenza OK, si è però frapposto l’Atlantico il quale, spinto dalla vivacità del lobo canadese del vortice polare, ha spazzato svariate centinaia di chilometri di territori continentali innevati, inficiando così l’opera intrapresa dall’indice OPI.

Siamo a inizio dicembre, ecco che l’inverno cambia strada ancor prima di entrare nel vivo. Risultato, confermato anche a gennaio e febbraio, sono le episodiche ondate di freddo che si staccano dalla circolazione circumpolare e riescono ad allungarsi sino al Mediterraneo si contano sulle dita di una mano (ad avanzano anche alcune dita…).

Cosa è mancato dunque finora a questa stagione per fare il botto? Certamente lui, l’Orso siberiano. L’alta pressione russo-siberiana non si è spinta fin sull’Europa, sia perchè non ha trovato suoli sufficientemente innevati per consolidarsi (l’alta russa è di natura termica), sia perchè non si sono verificati eventi stratosferici estremi (ESEs) che ne avrebbero potuto favorire la propagazione in catena di trasmissione di concerto con l’alta atlantica (di natura dinamica) in espansione anomala vero le latitudini artiche (alta polare).

Niente gelo sull’Italia quindi, nessun Buran, quantunque da più parti menzionato quasi fosse un ologramma, un specie miraggio in un deserto di ghiaccio che non c’è. Il clima mediterraneo è temperato caldo, il gelo è prerogativa della Siberia o delle regioni artiche, ben lungi dal giungere sul Mediterraneo senza sconvolgimenti a scala almeno continentale. Senza la materia prima, l’Orso siberiano in questo caso, l’inverno italiano sarà sempre una stagione a metà, sarà una coperta sempre troppo corta per accontentare tutti  e il richiamo dei molti appassionati, rimarrà sempre e solo un grido inascoltato.

Luca Angelini

FREDDO e NEVE sbarcano sul medio Adriatico e al Sud

Prendi un nocciolo di aria molto fredda, ben organizzato sulle distese ghiacciate dell’Artico groenlandese, inseriscilo entro il ramo del flusso portante diretto verso l’Europa, che su quel settore si presenta a curvatura ciclonica, e il gioco è fatto. Detto in termini molto semplici, è il meccanismo che sta per originare una nuova fase di maltempo invernale sul nostro Paese, in questo caso sulle regioni centrali adriatiche e su quelle meridionali. Lo schema è quello che si può apprezzare dalla mappa riportata nella figura in alto a sinistra. Si tratta del modello GFS, centrato per le ore 13.00 di ieri, sabato 7 febbraio e che rappresenta l‘avvezione di temperatura in 6 ore sul piano isobarico di 850hPa (1.500 metri).

Si possono ricavare importanti elementi di prognosi: in prima battuta, grazie alla colorazione blu-viola, la posizione attuale del nocciolo di aria fredda (entro il tratteggio bianco) poi, grazie all’isobaratura nera, la traiettoria di spostamento del medesimo (frecce bianche). La seconda mappa (a destra) fornisce gli stessi parametri ma con riferimento alla mezzanotte di lunedì 9. Osservate dove si trova la zona di massimo raffreddamento (tratteggio bianco). Facile notare dunque che non si tratterà di Buran, vento gelido siberiano proveniente da est, che avrebbe necessitato della presenza veicolante dell'alta pressione russo-siberiana, ma di freddo scandinavo proveniente da nord, quindi artico-marittimo, parzialmente continentalizzato.

Ma ecco una breve descrizione sinottica utile per comprendere la cronologia degli eventi.

SITUAZIONE: lungo il bordo orientale dell’anticiclone atlantico, in via di rinforzo ed elongazione verso la Groenlandia, scorre un nucleo di aria molto fredda di origine artico-marittima, pilotato da una anomalia della tropopausa che si va aprendo un canale verso l’Europa orientale, con destinazione Balcani. La massa d’aria fredda,  dopo aver superato nella notte la regione scandinava e questa mattina la Polonia, si trova ora tra Austria e Repubblica Ceca, in procinto di doppiare l’arco alpino orientale.

EVOLUZIONE: la presenza di un minimo residuo sul basso Tirreno (è quello che ha portato le recenti nevicate al nord) fungerà da esca e aggancerà la vorticità in arrivo dal nord Europa tanto da deviare parte della colata fredda verso le nostre regioni meridionali. L’impatto della nuova massa d’aria avverrà in due successive pulsazioni: una prima, dovuta al contraccolpo freddo che inizia a premere dall’altra parte dell’Adriatico, sino a domenica pomeriggio, un secondo con l’inserimento della lama fredda vera e propria a partire dalla serata.

L’IRRUZIONE FREDDA: domenica sera irrompe la coda del fronte freddo, che genererà una brusca rotazione del vento da nord, un sensibile calo delle temperature e un calo del limite delle nevicate fin su pianura e sulla fascia costiera compresa tra le Marche meridionali e il Molise. Nella notte e per l’intera giornata di lunedì, la neve raggiungerà anche le quote pianeggianti della Puglia, della Basilicata e della Calabria settentrionale, mentre si attesterà intorno a 300 metri sulla Calabria meridionale (dove i fenomeni saranno comunque più occasionali) e a 400 metri sul nord della Sicilia. Possibili temporanei sconfinamenti su Sannio ma soprattutto Irpinia. Potrebbero dunque svegliarsi imbiancate città costiere come Pescara, Termoli, Foggia, Brindisi, Bari, Lecce e Taranto. Neve anche a L’Aquila, Campobasso, Isernia, Potenza, Matera e Cosenza. Possibili spruzzate anche ad Avellino, Benevento, Crotone e Catanzaro e in collina su Reggino, Messinese tirrenico e Palermitano. Nella seconda parte della giornata ancora rovesci sparsi, con limite delle nevicate previsto in rialzo a 300-400 metri sui settori peninsulari, fino a 500-600 metri in Sicilia.

TENDENZA PER MARTEDI: al mattino ancora un po’ di instabilità, con nuvolaglia e residue brevi nevicate a partire da 500 e 600 metri, cui seguirà una raduale cessazione delle precipitazioni e un indebolimento del vento che ruoterà nuovamente a nord-ovest. Ancora freddo con temperature sotto la media, ma il leggero rialzo rispetto a lunedì.

Luca Angelini

La NEVE di giovedì e venerdì: bassa Padana sempre favorita

Un piccolo errore nelle condizioni iniziali può generare un processo a cascata fonte di errori anche vistosi nella prognosi futura. Questa regola d’oro, ben nota a chi da anni mastica come pane quotidiano carte e previsioni, ci pone ancora una volta quali ancelle guardinghe, persino a meno di 24 dall’arrivo della perturbazione dispensatrice di neve, programmata, per così dire, tra questa sera e la mattina di venerdì. Il discorso vuole essere la logica continuazione di quanto premesso nel precedente intervento.

 Facciamo un rapido excursus che ci porterà a comprendere insieme, cari lettori, quale sarà l’evoluzione.

IMMAGINE SATELLITE: si nota sui Balcani la nuvolosità legata alla perturbazione giunta ieri (martedì) e che ora si allontana verso est, non senza aver prima preparato la strada alla seconda perturbazione, quella legata al minimo n.2, che vediamo in avvicinamento dalla Spagna, con gli avamposti legati al fronte caldo che già hanno in parte coinvolto le nostre regioni di nord-ovest. Il sud, sotto l’influenza di aria più temperata che confluisce dal nord Africa, si presenta con cieli più aperti, specie sui versanti adriatici e ionici.

CARTA A 1.500 METRI (figura a destra): fisica conseguenza di quanto descritto in questo articolo, si riferisce alle ore 12.00 UTC di domani (giovedì) e permette di apprezzare il centro di bassa pressione che dalle Baleari si è portato tra la Corsica e la Sardegna. Da questa posizione richiamerà aria fredda dal nord Europa e aria più mite dal nord Africa. A separare le due masse d’aria (tre se consideriamo la componente continentale che comunque pare limiterà la sua portata a solo il 30%) un complesso sistema frontale che vediamo riprodotto nella successiva immagine sulla carta al livello del mare con isobare e fronti.

CARTA AL LIVELLO DEL MARE (sotto): prevista per le ore 12.00 UTC di domani, mette in evidenza la perturbazione descritta sopra, il cui ramo occluso andrà a interessare le nostre regioni settentrionali, apportando precipitazioni diffuse e le nevicate che tra un attimo andremo ad analizzare, e la Sardegna.

Il ramo caldo sfilerà verso il centro, dove è atteso pertanto un rialzo della neve a quote di montagna, e il ramo freddo che si porterà nella seconda parte della giornata verso il sud, dove potrà generare un rapido passaggio di rovesci , anche a sfondo temporalesco. Nevicate essenzialmente in Appennino e sulle cime dei monti siculi.

CARTA DELLE NEVICATE (in fondo a destra): grazie al modello messo a disposizione dal Consorzio LAMMA Toscana, notiamo la distribuzione prevista delle nevicate nella giornata di domani, giovedì. L’accumulo di aria fredda per venti da nord-est, si conferma favorevole a nevicate di una certa intensità lungo l’asse emiliano e sul basso Piemonte, sino a quote pianeggianti.

La neve potrà raggiungere quote di pianura o di fondovalle per quanto riguarda i settori montani, anche su Triveneto e Lombardia,  ma alternata a pioggia, quote collinari sul settore d’entroterra ligure centrale, con locali episodi corografici anche verso la fascia costiera di Genovese e Savonese. La pioggia invece dominerà la scena su Romagna, fasce costiere friulane, venete e liguri, oltre a tutto il centro, dove, per via del richiamo mite che vi abbiamo descritto, il limite delle nevicate salirà a quote montane.

Luca Angelini

Le premesse sinottiche che giovedì porteranno la NEVE in val Padana

Una panoramica a scala sinottica ci permette di fare il punto della situazione e di porre le basi per inquadrare correttamente la fase apicale di questo guasto invernale, che ormai sta per entrare nel vivo.  In figura è rappresentata la mappa relativa al campo di geopotenziale a 850hpa, isoipse colore nero (circa 1.500 metri di quota) e il relativo campo di temperatura, isoterme colore bianco, prevista per le ore 06 UTC di domani dal modello americano GFS.

Nella figura n.1, pubblicata in alto, si nota la grande ruota depressionaria centrata sull'Europa, che si spinge fin sul nord Africa e che costringe le correnti perturbate a scendere di latitudine lungo i meridiani occidentali europei, sotto la pressione imposta dall’asse anticiclonico atlantico, in fase di sviluppo contrapposto fin sull’Islanda. Seguendo il percorso delle isoipse ( e le frecce nere) si evince che gli impulsi di aria polare marittima partono proprio da alte latitudini atlantiche e finiscono per confluire entro il centro motore della depressione, un minimo a occhiale posto al traverso dei golfi del Leone e Ligure.

Il minimo ligure-tirrenico (n.1 in figura) è legato alla perturbazione giunta oggi, martedì, quello che vedete sul golfo del Leone (n.2), in procinto di completare un processo di ciclogenesi, andrà in fase con il primo, attivando la perturbazione che risulterà determinante nel generare il nuovo peggioramento, quello che domani pomeriggio (mercoledì) prenderà il via sulle nostre regioni centro-settentrionali.  Come potete notare, il richiamo temperato sud-occidentale non permetterà ancora alla neve di raggiungere quote di pianura in modo organizzato ed esteso, ma solo temporaneo e localizzato.

Attenzione però: nelle prossime 24-36 ore, l’asse dell’alta atlantica, stirato verso est dalla ripresa del flusso occidentale alle alte latitudini, finirà per coricarsi verso la penisola Scandinava, causando una spinta retrograda delle correnti fredde. Queste ultime, dall’Europa settentrionale, finiranno per confluire entro il minimo destinato al golfo Ligure attraverso la via franco-iberica, portandosi dietro in testa quella lingua di aria molto fredda che vedete distesa tra Svezia e Danimarca (n.3) e in coda aria ugualmente fredda di natura via via più continentale (n.4), che invece vediamo giacere sulla Russia e che perverrà sull'Italia a mezzo di freddi venti da nord-est.

Ne deriverà un ulteriore approfondimento del minimo ligure con conseguente sviluppo di un articolato sistema frontale, il cui ramo caldo, scorrendo al di sopra dell’aria fredda inseritasi da nord-est, darà luogo nella giornata di giovedì ( e forse anche nella prima parte di venerdì) a diffuse nevicate anche in pianura sulle nostre regioni settentrionali. Per motivi legati all'orografia, il flusso freddo da est si accumulerà in due settori ben precisi: il primo a ridosso della pedemonana emiliana e il secondo entro la conca del basso Piemonte. Questi saranno pertanto i settori che potranno beneficiare (se così si può dire) nelle nevicate più consistenti. La neve arriverà comunque anche sul resto del Piemonte e su gran parte della pianura lombardo-veneta, nonchè sull'entroterra ligure centrale, con eventuali sconfinamenti possibili sino a quote costiere tra Genovese e Savonese (figura n.2).  

Luca Angelini

Temporali in inverno: sono davvero così rari?

Interrompe il ticchettio regolare della pioggia che batte sui balconi con il suo “woom” sordo e profondo. Sembra lontano, o forse no. Ma cos'era un tuono? A gennaio? E' quanto avranno esclamato in questi giorni molti di voi, e non solo al centro-sud, ma anche in zone del nostro settentrione dove solitamente tutto tace in questa stagione, quasi imbalsamato dal letargo invernale, come in Piemonte. Eppure nell'Alessandrino le recenti nevicate si sono presentate anche sotto forma di precipitazione convettia, accompagnandosi a lampi e tuoni. Beh, in questo caso è facile intuire lo sconfinamento delle masse temporalesche attivatesi lungo la classica linea di confluenza che in determinate circostanze si sviluppa sul mar Ligure, in direzione dell'Appennino genovese e quindi inoltratesi sugli adiacenti settori padani. Certo non è cosa comune in val Padana, dove si è abituati al fragore dei tuoni essenzialmente nel semestre estivo.

Qualcuno punta il dito sui cambiamenti climatici, qualcun altro spara sul detto ormai super-inflazionato “non ci sono più le mezze stagioni”. In via statistica, se facciamo la doverosa eccezione della Liguria e del Friuli Venezia Giulia, il nord Italia raramente si trova ad assistere a fenomeni temporaleschi durante l'autunno e l'inverno. In via sinottica alcune circostanze possono produrre precipitazioni convettive, magari accompagnate da attività elettrica ma trattsi di una eccezione, non certo di una regola.

E il centro-sud? Pur se la massima frequenza temporalesca anche su queste regioni è da ascrivere al semestre estivo, dobbiamo osservare che anche l'inverno può dire la sua. Il rilascio di energia da parte dei nostri mari, sotto forma di calore latente (immissione di umidità) e di calore sensibile (riscaldamento dell'aria dal basso) tende ad instabilizzare le masse d'aria più fredde che sopraggiungono dalle alte latitudini. L'aria fredda, più densa e pesante, che si inserisce solitamente in campo depressionario, giunge sull'Italia dopo aver superato le asperità orografiche di Alpi
e Appennini e si immette sul nostro Paese a partire dalle quote superiori, Trovandosi però sbilanciata, senza uno sgabello sotto i piedi, tende a cadere e ad aprirsi un varco verso il basso a scapito dell'aria calda e umida che è così costretta a salire al suo posto, generando un processo noto come “convezione”.

A causa della convezione, processo che ricordiamo, insieme a conduzione e irraggiamento, assicura la redistribuzione del calore attraverso la colonna d'aria, le masse d'aria giunte sull'Italia si rimescolano, il freddo si smorza e l'inverno assume le tipiche caratteristiche temperate calde del Mediterraneo, ma il prezzo da pagare, se così si può dire, per questa sorta di mitigazione climatica tutta italiana sono appunto i temporali. Se due indizi fanno una prova, allora temporali a gennaio e inverno che stenta a dare il meglio possono pertanto essere considerati segnali tangibili di un clima che è cambiato e che, trovandosi ancora in fase dinamica, non ha ancora assunto uno determinato stato di equilibrio. Non ci son più le mezze stagioni? Il 2014 ha dimostrato che invece le mezze stagioni hanno dominato alla grande, demandando alla primavera un'estate sotto tono (almeno sul nostro centro-nord) e all'autunno un inverno che, alla bellezza del 22 gennaio, non ha ancora trovato la chiave per spalancare la porta sul nostro Paese.

Luca Angelini

Lezione di meteorologia dalla ISS

Samantha Cristoforetti non finisce di stupirci.
Continua imperterrita a donarci immagini spettacolari dalla sua finestra privilegiata sulla Stazione Spaziale Internazionale.
E proprio poche ore fa ha fotografato qualcosa di interessante, oltre che affascinante.

Si tratta del tifone Bansi nell'Oceano Indiano, ripreso di notte, con l'occhio illuminato dai lampi che si scatenano nei cumulonembi nei più immediati dintorni.
La particolarità della foto sta nel fatto che – involontariamente – da una lezione di meteorologia molto profonda e particolare. 

I tifoni, come gli uragani, e come tutti gli altri cicloni tropicali di forte intensità, sono enormi macchine che pompano aria calda e molto umida verso l'alto, fino a colmare tutta la colonna della troposfera, fino a 10-13-15 chilometri di altezza. L'unica zona dove l'aria è più asciutta è l'occhio, nel quale le correnti scendono verso il basso dopo aver scaricato tutta l'umidità in nuvole e piogge possenti.
I cicloni più forti registrano – proprio lungo il bordo dell'occhio – una differenza enorme tra l'aria relativamente fresca e asciutta al suo interno e quella estremamente umida e calda appena al di fuori, dove ci sono i cumulonembi che formano lo stretto anello chiamato “Eye wall“, nel quale si scatenano i venti più forti della tempesta.
E questa differenza è più che sufficiente a far sì che le gocce d'acqua e il vapore presenti sul bordo di questi cumulonembi – entrando in contatto con l'aria secca dell'occhio – generino cristalli di ghiaccio e chicchi di grandine in quantità sufficienti affinché le turbolenze presenti nell'aria li spezzettino caricandoli elettricamente e scatenando in ultima analisi dei fulmini.

Nel resto della struttura della tempesta l'aria è troppo umida e calda lungo tutta la colonna affinché si formi grandine sufficiente. L'unica scappatoia sta nel trovare un cumulonembo si trovi appena al di fuori del mulinello, lungo le spire esterne.
Se un ciclone tropicale non è particolarmente intenso questi estremi vengono meno, l'aria è meno uniformemente umida, e i lampi possono vedersi (sempre pochi) dappertutto. Oppure non si vedono per niente proprio per la scarsa attività dei cumulonembi che vi si formano all'interno.

Inverno italiano: lo facciamo un ripassino?

Chi di voi, cari lettori, può definirsi un vero appassionato di Meteorologia, senza coltivare una passione parallela, quella del freddo e della neve? Certamente la minoranza. I forum meteo durante l'inverno si animano, gli argomenti trattati aprono ventagli di sapere tutti nuovi, dal nulla compaiono persino i professionisti stagionali, con trattazione di indici e stratosfera, si riaprono impensabili archivi che riportano alla luce fantastiche immagini del passato, con quella suggestiva patina in bianco e nero, più bianco che nero a dire il vero. Si, perchè gli inverni del passato infondono al nostro Paese quell'atmosfera ovattata da Lapponia perduta. Osservando le immagini di allora l'Italia pare esser stata oggetto di una deriva dei continenti in stile lapse time, trascinata via in malo modo dalle sue “latitudini nordiche” a ora alla deriva di quelle simil-tropicali.

L'impressione che abbiamo dei nostri inverni d'oggi deriva in realtà da una duplice componente: una oggettiva, legata ai mutamenti climatici che negli ultimi decenni hanno comportato un riassetto differente dell'impostazione circolatoria generale, motivo per cui l'inverno italiano ha perso mordente, lasciando addietro negli anni il meglio del suo repertorio. D'altra parte anche la componente soggettiva, intrinseca in ognuno di noi, ha il suo peso: gli inverni del passato, quelli che contano, restano impressi in modo indelebile nella nostra memoria, la quale però, anno dopo anno, fa pulizia di quel che non conta. Rimangono così solo i gelidi ricordi; gli esempi del 1929,1956,1985, 2012 si mettono tutti in fila, uno dietro l'altro fornendo, come in una prospettiva fotografica, una sorta di sovrapposizione, una visione illusionistica della realtà, per via della quale, tutti gli inverni del passato sembrano esser stati gelidi e nevosi. E la realtà della climatologia italiana, quella che riempie gli scaffali degli archivi di dati e numeri, documenta invece che anche in passato ci sono stati inverni si e inverni no.   

La nostra stagione non parte? Non c'è più il freddo di una volta, non ci sono più le nevicate di un tempo? La climatologia ci dà in parte ragione, tuttavia la cassa di risonanza offerta dall'utilizzo smodato di internet, e in particolare dei social network, senza l'accertamento delle fonti, amplifica l'onda anomala di quel pensiero ancestrale assimilato nei meandri della nostra materia grigia, secondo il quale, l'inverno italiano è fatto a immagine e somiglianza di quello russo o finlandese, ossia tutto gelo e neve. Signori, non è così. Milano non è Mosca, Roma non è Helsinki, Napoli non è Ulaanbator. L'Italia beneficia di un clima temperato caldo di tipo mediterraneo, con diverse sfaccettature microclimatiche che vanno dal continentale (Alpi e val Padana) a quello marittimo (fasce costiere e sub-costiere di sud e Isole Maggiori). Un clima tra i più celebri al mondo, certamente uno dei più graditi, fatto di estati calde e asciutte, ma piovose in montagna, inverni miti e piovosi, ma nevosi in montagna.

Un clima tra i più celebri al mondo, certamente uno dei più graditi, fatto di estati calde e asciutte, ma piovose in montagna, inverni miti e piovosi, ma nevosi in montagna. L’inverno italiano, giusto per rimanere in tema, prevede nella sua “normalità climatologica” appena descritta, anche 3-4 ondate di freddo intenso, più frequenti al nord e lungo le regioni adriatiche, durante le quali le temperature si portano al di sotto della media e nel corso delle quali sono possibili episodi nevosi fino a quote di pianura o prossime ai litorali. Il gelo e la neve in Italia costituiscono pertanto un’eccezione, non la regola.

Vi tornano i conti? Non ancora? La figura qui sopra fugherà ogni dubbio.

Luca Angelini

 

Furia, getto del West


Quattrocento (400) chilometr
i l'ora.
Questa è la velocità che raggiungerà (e magari supererà) la Corrente a Getto sull'Oceano Atlantico nella notte tra giovedì e venerdì prossimi.

Una furia, insomma, ben prevista da giorni dai modelli numerici più elaborati. 

Velocità del genere sono raggiungibili solo in pieno inverno, quando l'aria fredda artica spinge verso le medie latitudini, dove l'aria umida e mite dal Tropico non è ancora stata spazzata via.
E anche stavolta le premesse non sono diverse: al largo sull'Oceano le temperature sono ancora alte, e dall'Artico Canadese si sta preparando una sorta di schiaffo a mano aperta verso le coste atlantiche statunitensi, un treno veloce e carico di -30/-35 gradi pronti a strizzare 35-40 gradi di differenza di temperatura (tra terraferma e oceano) in poco più di 1000 chilometri, portando alla risposta – normale e proporzionata agli ingredienti – dei venti d'alta quota.

Le conseguenze sono sempre le stesse: a nord del Getto le depressioni diverranno particolarmente profonde, a sud del Getto gli anticicloni saranno particolarmente robusti.
Sarà comunque una frustata, veloce e di breve durata, seguita da nuovi ondeggiamenti ad alta velocità, meno ampi e violenti nel tentativo di smaltire definitivamente l'esasperata differenza di temperatura tra continente americano e aperto oceano.

La sfuriata che risultato porterà in Europa?
In sostanza lo abbiamo già detto: tempeste di passaggio nella parte settentrionale del Continente, con venti molto forti fino a sfiorare il cuore dell'Europa; alta pressione robusta tra Azzorre e Spagna, fino a sfiorare Francia e Italia.
Ma la nostra Penisola si troverà sabato proprio sulla traiettoria del getto di passaggio, per fortuna già un po' smorzato. I venti d'alta quota passeranno sulle Alpi spremendo l'aria umida oceanica dal versante estero attraverso le vallate, e costringendola anche a scavalcare le cime più alte per poi farla ruzzolare sul nostro versante. 
Il risultato sarà dato da venti di Tramontana e Foehn, molto forti e freddi sulle cime. Le raffiche invece saranno decisamente più calde in numerose zone della Pianura Padana, con punte fin verso i 25 gradi; ma il tepore – attenuato – arriverà anche nelle regioni del Centro portandoci una giornata dai toni più primaverili che invernali.

E' un evento che fa parte della variabilità invernale, anche se raro in questi termini.
Veloce quanto di breve durata, seguito da un ritorno nei ranghi con un Getto veloce e ondeggiante, ma senza esagerazioni.
Comunque – alla fine della fiera – l'Italia almeno per altri 7-10 giorni rimarrà fuori da ondate di freddo, ed anzi si troverà in un periodo relativamente tranquillo con poche piogge, aria umida e temperature un po' troppo alte.

Il Buran, il Blizzard e… la grande buriana

A questo punto viene un sospetto: che in Italia ci siamo disabituati all'inverno? Sarà per un adattamento subliminale ai cambiamenti climatici, sarà per l'assuefazione ad una cronaca meteo dispensata dai media in modo sempre più esasperato, fatto sta che probabilmente è proprio così. La riprova del nostro sospetto, emerge come la punta di un iceberg dalla terminologia utilizzata per identificare questo o quel fenomeno atmosferico, molto spesso non corretta sia dal punto di vista tecnico ma soprattutto della lingua italiana.

Prendiamo spunto dall'ondata di freddo e neve che in questi ultimi giorni ha investito l'Italia. Le dinamiche atmosferiche ci hanno destinato una sequenza di pacchetti d'aria fredda smossi da un anticiclone anomalo arenatosi sulla regione scandinava. Subito si è parlato di Buran. Ma cos'è in realtà questo Buran? E’ un vento tra i più gelidi che in inverno possano raggiungere la nostra Penisola e trasporta un vero e proprio muro di aria ghiacciata in uscita dall'anticiclone termico russo-siberiano. Le masse d'aria muovono i loro passi dalle gelide, sterminate e remote steppe siberiane (aria polare continentale-siberiana). Si tratta di un flusso di provenienza orientale a sviluppo laminare, pellicolare, quasi incollato al suolo, in origine molto stabile e secco che si riversa sul nostro Paese con venti anche forti da est o nord-est. Genera ondate di gelo a volte di estrema intensità che solitamente perdurano anche diversi giorni dopo la fine dell’apporto. Va da sè che per avere il Buran occorre l'anticiclone russo-scandinavo, il “barbaro”. Non è il caso attuale dove il motore del freddo è l'anticiclone scandinavo, che è più “gentiluomo”. 

Forse sembrerà di voler spaccare il capello in quattro, in realtà la corretta identificazione di un soggetto sinottico è di fondamentale importanza per chi è impegna ad elaborare una previsione.

Ricordate le ondate di freddo e neve del 2012? L'anno del Blizzard. Anche in questo caso il motore mediatico aveva fatto girare questo termine, con la medesima disinvoltura utilizzata per l'attuale Buran e per i medesimi fenomeni. Ma cos'è allora il Blizzard? La definizione rigorosa (elaborata dal Servizio Meteorologico degli Stati Uniti d'America dal quale il termine deriva) identifica questo soggetto sinottico quale forte vento con frequenti raffiche superiori a 16 meri al secondo o 30 nodi, accompagnato da nevicate che riducono la visibilità orizzontale sotto i 400 metri per 3 ore di fila. Diventa Blizzard moderato se la temperatura che si accompagna alla tempesta di neve sia inferiore a -7°C, forte se inferiore a -12°C. Come vedete, non si scappa: o è così o non è Blizzard.

Il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare Italiana ha coniato per il fenomeno Blizzard, una denominazione italiana di “origine controllata” noto come Scaccianeve. Il fenomeno è frequente in inverno sulle nostre montagne, in modo particolare sulle Alpi, e identifica un vento forte e freddo che imperversa su superfici ricoperte da neve polverosa. Se il vento solleva la neve fino ad altezza d'uomo si parla di Scaccianeve basso, se il vento è tempestoso, può sollevare la neve anche di alcune decine di metri, spesso accompagnandosi anche a condensazione, con formazione di “cinture nuvolose” aderenti i pendii e relativo azzeramento della visibilità orizzontale. Trattasi di Scaccianeve alto.

In un modo o nell'altro, per un Paese come il nostro dove gli inverni di un tempo sono divenuti miraggi di una manciata di ore, distinguere un vento dall'altro sembra un'inutile accezione accademica. Non sia così per noi appassionati, che abbiamo l'onere e l'onore di far da anello di congiunzione tra il rigoroso mondo della scienza e quello della gente comune. Altrimenti ad ogni refolo di vento sarà sempre e solo una gran… buriana.

Che dire? Buon anno a tutti!

Luca Angelini 

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