Meteorologia dinamica – introduzione parte III

Meteorologia dinamica – Vento geostrofico
di Claudio Giulianelli
A cura di CEMER – Centro Meteo per l’Etruria e Roma

Con queste equazioni semplificate/approssimate avevamo detto di essere in grado di descrivere molto bene il comportamento dell’atmosfera (nota: nella relazione sopra V_H è un vettore di componenti (x,y), non compare per errore il simbolo di vettore sopra la lettera).

Si possono fare ulteriori considerazioni e semplificazioni alle equazioni valide praticamente per ogni tempo senza commettere errori degni di nota. Ma facciamo prima un’approssimazione un po’ più forte e se vogliamo discutibile.Quello che si può dire, guardando l’equazione del vento per il piano, è che le accelerazioni orizzontali in atmosfera sono piccole, abbastanza piccole, e possiamo prenderle per nulle. Se per esempio guardiamo i cumuli viaggiare, vediamo un moto pressoché uniforme, non vediamo le nubi scattare rapidamente come un corridore nel giro di qualche minuto (sempre parlando di cumuli che viaggiano sulla nostra testa, non dei cumulonembi a sviluppo verticale dove le accelerazioni sono molto forti, ma come avevamo già detto non ci interessano). Sulla base di questa osservazione mandiamo a zero il termine di derivata parziale temporale e il termine avvettivo. Abbiamo ottenuto un equilibrio tra forze, chiamato equilibrio geostrofico. In questo equilibrio, il gradiente di pressione è un vettore che punta verso il minimo di bassa pressione, perpendicolare alle isobare, mentre sulla stessa direttrice ma puntando verso l’esterno di un vortice, agisce la forza di Coriolis. In modulo i vettori si eguagliano, come suggerisce la relazione ottenuta. Dunque la soluzione di questo equilibrio ,il vento geostrofico, è un vettore sempre tangente alle isobare ( per costruzione geometrica, se il gradiente di pressione è un vettore perpendicolare alle isobare, e quest’ultimo è perpendicolare al vento, il vento dovrà essere parallelo alle isobare), e dunque il vento geostrofico lo si individua da una mappa di geopotenziale a 500 semplicemente seguendo le linee di geopotenziale. Per le quote inferiori questo non è vero, infatti ci siamo lasciati dietro l’attrito con il suolo. Questo caso verrà ripreso in considerazione alla fine. Da questo momento in poi chiameremo u la componente zonale del vento, v quella meridionale e w quella verticale.

Abbiamo dunque trovato una soluzione alle equazioni, che ci ha fornito il vento e quindi la previsione di tutta la circolazione atmosferica. Purtroppo però quanto abbiamo trovato non è la soluzione più generale possibile, infatti l’approssimazione fatta sopra ha un problema: mandando a 0 il membro di sinistra dell’equazione abbiamo tolto la variazione temporale alle figure bariche in atmosfera. Ovviamente sappiamo che il tempo atmosferico evolve, cambia ogni giorno e quindi questa approssimazione è un po’ drastica. Ma la condizione di equilibrio geostrofico ci sta dicendo appunto che il vento ad un tempo fissato segue le linee di pressione. Per convincerci della validità di quanto visto possiamo pensare appunto a questo equilibrio come ad una soluzione stazionaria dell’equazione di Eulero per il piano. Il membro di sinistra dell’equazione, somma del termine di derivata pariziale nel tempo più termine avvettivo, come al solito può essere infatti riscritto come derivata totale della velocità nel tempo (secondo quanto visto negli articoli precedenti). Cercare una soluzione stazionaria vuol dire porre questa derivata totale nulla (e dunque condizione stazionaria sia nello spazio che nel tempo) . Questa condizione è ben soddisfatta in libera atmosfera e il vento in generale è geostrofico, e dovremo capire cosa ne determina la sua evoluzione nel tempo.Queste sono le equazioni del vento geostrofico, a cui si arriva dopo vari passaggi

Sopra è rappresentato il sistema di riferimento cartesiano utilizzato nella descrizione del problema, e le componenti di omega sugli assi y e z.

Segnaliamo un errore di battitura nei passaggi sopra: davanti il termine 1/rho per la derivata della pressione in x e in y nelle ultime due immagini è presente un segno meno che non dovrebbe esserci.Si è chiamato il prodotto 2*omega*sen(fi) con la lettera f,ed è noto come parametro di coriolis. Si noti che per fare il prodotto vettoriale tra omega e v,le componenti di omega sono state prese sul piano y e z invece che su x e z perchè ci interessava avere un’informazione sulla latitudine (l’angolo fi rappresentato in figura),che varia con la y. Mentre per la velocità si sono prese tutte e 3 le componenti del vento,tra cui la w,la velocità verticale, componente che compare nell’espressione per “i ” ma che abbiamo mandato a zero coerentemente con quanto detto per l’equilibrio idrostatico.Soffermiamoci qua sul vento geostrofico: le equazioni sopra scritte infatti legano il vento ai gradienti di pressione in x e y,ma le variazioni di pressione sul piano per dare un senso a queste equazioni devono essere ad una quota fissata. Inoltre nelle equazioni compare la densità che solitamente non si misura. Si preferisce dunque usare il geopotenziale (indicato con la lettera greca “fi” maiuscolo),definito come il lavoro che bisogna fare per portare una massa d’aria dal suolo ad una data quota z.

Se i valori di pressione a tale quota sono diversi,dovrò fare più lavoro per portare la massa d’aria laddove la pressione è maggiore. In questo modo alla quota z ho dei gradienti di geopotenziale che dunque mi definiscono molto bene il vento geostrofico. Vediamo ora come fare questo cambio di variabile,da pressione a geopotenziale.Osserviamo che la pressione è una funzione del tempo e delle 3 coordinate spaziali. Possiamo dunque scrivere la derivata totale della pressione in questo modo,usando poi l’equilibrio idrostatico ed il fatto che stiamo seguendo linee a pressione costante e dunque dP=0:

mentre posso esprimere in forma differenziale il geopotenziale in questo modo (i seguenti passaggi verranno fatti solo per la coordinata x ma sarà lo stesso per la y)

infine basta sostituire la relazione tra i differenziali di pressione nella relazione col geopotenziale per ottenere le equazioni nella nuova forma

oppure in termini di altezza geopotenziale Z, tenendo conto della definizione, abbiamo ancora

Nelle carte meteo viene rappresentato non il geopotenziale in senso stretto, infatti questa quantità qui usata dimensionalmente è un’energia. Viene usata l’altezza geopotenziale, con la seguente idea: l’energia spesa per portare la massa d’aria dal suolo ad una data quota (che possono essere i 500 hpa) è diversa in ogni punto. Oppure posso dire di fissare l’energia da spendere (per esempio il lavoro che serve per portare la massa d’aria da 1000 ai 500 hpa),ma a cambiare è l’altezza a cui devo arrivare. Laddove ho un’alta pressione avrò un’altezza di geopotenziale maggiore. Quindi guardo la quota isobarica di 500 hpa e vedo l’altezza geopotenziale. Seguire le linee di altezza geopotenziale mi da il vento a tale quota.Ecco evidenziata la situazione in questa carta: le frecce in verde rappresentano il vento, in rosso il gradiente di pressione ed in nero la forza di coriolis, con riferimento all’altezza geopotenziale (colori) a 500 hpa.

Meteorologia dinamica – Introduzione parte II

Ecco il secondo appuntamento con Claudio Giulianelli del CEMER (Centro Meteo per l’Etruria e Roma), il lavoro parte riprendendo le equazioni di Eulero.

Facciamo notare da subito che lo studio dei moti atmosferici su larga scala è un problema a geometria sferica. Questo complica la matematica ed in generale lavoreremo in coordinate cartesiane finchè sarà possibile senza commettere grossi errori. Parleremo dunque di venti “sul piano” x,y invece che sulla sfera.

L’equazione sopra in generale descrive l’evoluzione del campo di velocità nel tempo (derivata temporale, primo termine) e la variazione nello spazio (derivate spaziali, secondo termine detto “avvettivo”), evoluzione che dipende solo dai gradienti di pressione e forze esterne. è il caso per esempio di un fiume che scorre dal monte verso il mare sotto la forza di gravità. L’equazione descrive dunque un semplice trasferimento di materia da un capo all’altro. Dire che questa equazione vale in atmosfera vorrebbe dire allora che, essendo maggiore la pressione alle basse latitudini a quota fissata (l’atmosfera ha un’altezza di scala maggiore. O anche coerentemente con la nostra trattazione delle medio-alte quote, si pensi all’altezza geopotenziale) e minore ai poli, dall’equatore l’aria dovrebbe fluire verso i poli costantemente perchè l’attività convettiva equatoriale porterebbe sempre aria in quota che per il gradiente di pressione si riverserebbe sui poli. L’atmosfera dunque con questa equazione dovrebbe essere tutta concentrata sui poli! Ma non abbiamo sbagliato tutto, piuttosto notiamo che a scongiurare questa situazione ci pensa un’altra forza, che è la forza di Coriolis. Se immaginate infatti il flusso simile a un fiume che scorre dall’equatore al polo, e poi ci mettete la rotazione terrestre, questo flusso da sud a nord prende una componente ovest-est (la direzione in cui ruota un punto sulla superficie terrestre), confinando dunque la massa d’aria intertropicale e mantenendo dunque l’atmosfera più alta all’equatore senza che si svuoti e si riversi tutto sui poli. Come sappiamo una circolazione meridionale su larga scala esiste, infatti si parla di “celle” di hadley,di ferrel,e polare. Si tratta comunque di moti medi decisamente più piccoli di quelli zonali, al punto che sulle carte quotidiane della pressione non si riesce a vederli, ma solo facendo una media dei venti su lungo tempo (settimane).

Dobbiamo allora inserire Coriolis in questa equazione. Infatti l’equazione di Eulero sopra scritta vale in un sistema di riferimento inerziale. La Terra non lo è, e dunque pure se l’atmosfera fosse totalmente ferma, un suo punto qualsiasi avrebbe comunque una velocità angolare Ω di rotazione attorno all’asse terrestre. La velocità di un punto della nostra atmosfera sarà data dunque dalla somma di due componenti, una nel sistema di riferimento della terra Vr, e l’altra è la velocità angolare di rotazione:V=Vr+Ωxr. Nell’introdurre questa informazione nella nostra equazione vettoriale, dobbiamo vedere come riscrivere le accelerazioni, le quali compaiono nell’equazione di Eulero. Dunque dovremo fare la derivata temporale di questa nuova velocità, e la derivata di ognuna delle due componenti ci darà altre due componenti dell’accelerazione: vediamo nel dettaglio cosa succede.

Dell’equazione di Eulero,per comodità riassumiamo il membro di sinistra dell’equazione sotto il segno di derivata totale nel tempo (ricordiamo brevemente che essendo il campo di velocità funzione del tempo e delle tre coordinate spaziali,la derivata temporale totale di V sarà senz’altro la somma di derivate parziali di V rispetto al tempo e alle 3 coordinate spaziali, per maggiori dettagli si veda la parte di fluidodinamica). Lo facciamo anche perchè non ci interessa avere esplicito il termine avvettivo. Quindi l’equazione di Eulero è ora così scritta:

se la V è quella sopra V= Vr+Ωxr, le accelerazioni sono le seguenti:

I primi due termini sono l’accelerazione associata alla velocità Vr, per la quale abbiamo una componente sul sistema di riferimento rotante con la terra e un’altra componente dovuta alla rotazione terrestre (Ωxv). Stessa cosa per l’altra velocità, Ωxr. Anch’essa avrà associata un’accelerazione data dalla somma di due contributi.

Verifichiamo subito che il termine ΩxΩxr è molto piccolo, infatti la velocità angolare di rotazione terrestre è dell’ordine di 10 alla potenza -4, e con r (raggio terrestre) dell’ordine di 10 alla 6 tutto il prodotto è dell’ordine di 10 alla -2. Portiamo questo termine all’altro membro e sommato alla gravità (le due accelerazioni agiscono entrambe lungo z), questa accelerazione viene inclusa in g, come piccola correzione. Il risultato finale è il seguente:

(si è esplicitato il segno meno alla gravità in quanto diretta verso il basso) il termine forzante di coriolis è il 2ΩxV (togliamo il pedice r per comodità sottintendendo che stiamo guardando l’equazione sul sistema di riferimento rotante).

Le nostre equazioni sono quasi riadattate al caso della nostra atmosfera, manca un’ultima osservazione da fare:

in generale nella nostra atmosfera la pressione scende esponenzialmente con la quota, i venti sono prevalentemente sul piano e quindi la colonna d’aria piuttosto stratificata. In sostanza, le velocità verticali sono piccole, ancor più le accelerazioni verticali. Questo non è vero all’interno dei cumulonembi come sappiamo, ma i cumulonembi sono isolati punti della superficie terrestre dove questa condizione non vale, di base l’aria è stratificata, almeno se si guarda la circolazione generale dell’atmosfera. Se dunque prendiamo la terza delle 3 equazioni del vento, possiamo trascurare tutte le accelerazioni verticali: ne viene fuori un equilibrio, noto come equilibrio idrostatico che assumeremo essere sempre valido.

Le equazioni sono ora ulteriormente semplificate:

nell’equazione per la verticale non è stato riportato il termine di coriolis,che come possiamo ben immaginare varia sul piano e non sulla verticale. Questo aspetto sarà più chiaro nel prossimo articolo. La soluzione e discussione dell’equilibrio idrostatico è riportata su un altro articolo.

La relazione che ci interessa dunque è quella delle velocità orizzontali, per studiare la dinamica circolatoria. Guardiamo le due equazioni per il vento in x e y. Notiamo che nel prodotto scalare del vento col gradiente nel termine avvettivo, la velocità verticale compare (ricordiamo che quel prodotto scalare scritto in forma non compatta è una Vx*d/dx+ Vy*d/dy+ Vz*d/dz). Non possiamo trascurare quel pezzo, perchè non è detto che la derivata in z del vento sul piano (indicato col pedice H) sia piccola, potrebbe essere grande abbastanza da rendere la terza componente di quel prodotto scalare grande come gli altri e compensare Vz che è dell’ordine di qualche cm al secondo in una atmosfera stratificata. La derivata del vento orizzontale con la quota, ossia la variazione del vento (sul piano) con la quota, si chiama shear. Lo shear del vento è importante in alcuni fenomeni atmosferici, quando quel termine è grande le celle temporalesche possono essere messe in rotazione con formazione di tornado. Ma lo shear è importante anche in zona tropicale, infatti zone a basso/bassissimo shear (quindi quando il vento varia poco/pochissimo con la quota) sono propense allo sviluppo degli uragani. Da qui partiremo per ricavare importanti elementi di dinamica atmosferica.

A cura di Claudio Giulianelli, Centro Meteo per l’Etruria e Roma.

Meteorologia dinamica – Introduzione

A cura di CEMER – Centro Meteo per l’Etruria e Roma

1) Meteorologia dinamica – Introduzione


31 Dic, 2019
Meteorologia dinamica – Introduzione
di Claudio Giulianelli

Villa San Giovanni in Tuscia (VT), 31 Dicembre 2019 – Lo scopo della rubrica “fisica dell’atmosfera” inaugurato a partire da oggi, sarà quello di spiegare in maniera completa (tramite equazioni matematiche) le dinamiche su larga scala che governano il tempo meteorologico. Gli argomenti saranno affrontati direttamente da un punto di vista fisico-matematico e per poter riuscire a comprenderli appieno è consigliato avere delle basi di calcolo vettoriale, analisi matematica ed equazioni differenziali, seppur non in maniera approfondita. Queste nozioni saranno date per note, anche se una loro breve spiegazione verra data in un articolo a parte di introduzione alla fluidodinamica. Chi leggerà questi articoli avendo fatto un percorso di studi scientifico potrà comprendere bene gli argomenti qui trattati (Fisica, Matematica, Ingegneria in primis) ma le conclusioni saranno sempre tratte alla fine di ogni spunto e, ripeto,  spiegate all’atto pratico, quindi tutti, meteoappassionati e non, potranno comprendere il significato essenziale di quanto verrà qui esposto. Questo approccio alla meteorologia non è affatto diffuso sul web ed in generale nei libri di meteorologia che si possono trovare in giro, di solito molto più discorsivi che formali. Occorrerebbe infatti avere un po’ di conoscenze base di matematica che viene affrontata solo a livello universitario, dunque non è adatta a tutti ed è la via più difficile per giungere alle stesse conclusioni che potreste trovare in manuale di meteorologia “discorsivo”. Perchè allora scegliere questo approccio alla meteorologia?
I motivi ricadono nel fatto che la matematica che useremo ci darà dei risultati indiscutibili, la cui interpretazione non potrà mai essere messa in dubbio da nessuno. Questo vuol dire essere in grado di smentire le tante bufale che girano sul web tra tanti improvvisati meteorologi che hanno affrontato la materia da autodidatti e senza mai argomentare o dimostrare. Solo insistendo in questo modo, per quanto possa risultare difficile, si riescono infatti a capire le motivazioni profonde della dinamica meteorologica, in quanto sarà una teoria che costruiremo passo passo.
Detto ciò, ci si arma di tanta pazienza, e si affronta la meteorologia nel modo migliore possibile, passando tramite la fisica e la matematica.
Il primo passo per affrontare la meteorologia dinamica è quello di scrivere le equazioni del moto per un fluido in generale. Quello che faremo infatti sarà prendere le equazioni universalmente valide per un fluido e riadattarle per il sistema terra, per la nostra atmosfera. Le equazioni in questione che descrivono il moto di un fluido, le Navier-Stokes, sono ricavate in una serie di articoli più generali di fluidodinamica,  Qua saranno riprese e sviscerate nel caso particolare della loro applicazione alla nostra atmosfera.
Le equazioni sono le seguenti:

La loro derivazione è fatta nella parte di fluidodinamica. Noi qui cominceremo a dare significato fisico a tutti i termini di questa equazione.
Notiamo anzitutto che l’espressione scritta è una sola, ma si ricorda che v è un vettore di 3 componenti (la direzione x del vento, ossia quella ovest-est, è chiamato vento “zonale”, la componente y, ossia quella nord-sud, è chiamato vento “meridionale”, la direzione z, ossia quella verticale, è chiamato vento verticale). Dunque questa espressione si può esplicitare in 3 equazioni per le 3 componenti del vento, mentre quella usata sopra è una notazione compatta. Questa complicata equazione non è altro che il secondo principio della dinamica, abbiamo posto un uguaglianza tra forze agenti in atmosfera (gradienti di pressione, attriti e forze esterne) e accelerazione del sistema (nel membro di sinistra abbiamo derivate delle velocità che dimensionalmente sono delle accelerazioni). Per quanto riguarda la massa, stiamo considerando forze per unita di volume, l’unica cosa che ha senso per un gas. Quindi al posto della massa usiamo la densità. Per comodità abbiamo diviso tutto per la densità. Le parentesi al secondo termine, che racchiudono il prodotto scalare tra le componenti del vento e l’operatore di gradiente, vogliono dire che per l’equazione di ogni componente del vento dobbiamo fare la derivata in x, y, e z ognuna moltiplicata per la componente x, y,e z del vento, e sommare questi 3 oggetti. Esplicitiamo l’equazione sopra dunque perchè in qualche caso ci tornerà utile avere le equazioni separate nelle 3 componenti del vento:

le prime 3 sono le equazioni per le tre componenti del vento. Per poter essere risolte al computer (non analiticamente per due motivi: il primo è che sono molto complicate, il secondo è che non esiste una soluzione analitica), vediamo che ci servono altre equazioni per la pressione e la densità. Si introduce quindi la quarta equazione, nota come equazione di continuità o di conservazione della massa, anch’essa non in notazione vettoriale, e per risolvere la pressione è stata introdotta l’equazione di stato dei gas perfetti. Purtroppo però quest’ultima dipende da un’altra incognita che è la temperatura, quindi viene introdotta l’ultima equazione nota come equazione del calore, espressa in termini di theta ,la temperatura potenziale, dove Q sono le sorgenti di calore (d’ora in avanti useremo la temperatura potenziale, la quale sarà spiegata in un altro articolo e perchè la utilizziamo al posto della temperatura). Questo set di 6 equazioni in 6 incognite (le 3 componenti del vento, densità, pressione e temperatura) può essere risolto e ci fornisce le previsioni.
Cominciamo subito col notare che nelle 3 equazioni del vento, per la componente verticale abbiamo posto la gravità come forza esterna (l’ultimo termine delle equazioni del vento, dove g è un vettore di componenti (0,0,-g)), mentre nessuna forza esterna sul piano x,y. D’ora in poi questo sarà sempre vero. Al riguardo ci si potrebbe divertire a cercare altre soluzioni a queste equazioni, se per esempio uno volesse mettere le forze elettromagnetiche come forze esterne (per esempio in una soluzione di acqua e sale). Facciamo immediatamente un’altra considerazione: il problema dell’attrito (il penultimo termine delle equazioni del vento, con “nu” viscosità del fluido che moltiplica la derivata seconda della componente del vento). Per quello che si legge spesso sul web, l’attrito è usato come capro espiatorio per tutti i problemi relativi alla meteorologia. In realtà la nostra atmosfera è uno dei fluidi in cui l’attrito non ci rovina tutto e possiamo dunque fare una trattazione fisico-matematica molto buona di vari fenomeni meteorologici. Se si pensa a cos’è l’attrito di un fluido questo aspetto si chiarisce subito.
L’attrito è un qualunque tipo di forza che cerca di ostacolare il moto, frenandolo. Di solito quando si pensa all’attrito si pensa al trascinamento di un oggetto su una superficie ruvida. In realtà se si osserva il nostro termine di attrito compare il coefficiente di viscosità. Quindi la viscosità del fluido è un’altra forma di attrito, infatti nei fluidi ad ostacolare il moto è anche l’interazione che può esserci a livello chimico tra le molecole e le forze elettrostatiche che cercano di tenerle insieme. Queste forze di coesione per esempio sono ben più forti in acqua, tanto che alcuni piccoli insetti riescono a poggiarvisi sopra senza affondare e bagnarsi. Se si pensa ad un gas ,lo immaginiamo come una nuvola di particelle dove ognuna corre per i fatti suoi e le interazioni avvengono solo per urti. Questo vuol dire che se al suolo è presente un effetto di attrito per sfregamento (il vento contro i rilievi, analogamente al trascinamento di un oggetto su una superficie ruvida), le alte quote risentono in minima parte degli effetti del suolo (alla fine quantificheremo questi effetti), infatti i venti alle alte quote sono piuttosto forti e il moto disordinato degli strati inferiori dunque rimane per lo più confinato alle basse quote. La viscosità dell’aria è davvero bassa (dell’ordine di 10 elevato alla -7 e fino a 10 alla -9 nella zona di nostro interesse,ossia la medio -alta troposfera) e dunque gli strati superiori di atmosfera non risentono di ciò che succede sotto nell’immediato e sono liberi di muoversi per i fatti loro. Anche senza questo ragionamento, il solo fatto che la viscosità sia un numero così piccolo ci porta a conclusione che il termine di attrito viscoso può essere preso nullo, trascurato rispetto agli altri termini dell’equazione. Ovviamente per le basse quote un termine di attrito col suolo va preso in considerazione, e verrà discusso alla fine. Infatti per quanto detto, possiamo concludere che gli effetti dell’attrito sono trascurabili già in medio-alta troposfera almeno su scale temporali dell’ordine di alcuni giorni. Siccome a noi interessa la dinamica atmosferica in libera atmosfera, togliamo l’attrito. E anche questo sarà vero per quasi tutta la nostra trattazione che si occuperà sempre della libera atmosfera. Solitamente l’attrito risulta trascurabile fino ai 500 hpa nel breve termine, ed è per questo che risulta una importante quota, tale da essere presa come riferimento assieme alla pressione al suolo nelle mappe meteorologiche.
Concludiamo dunque, per il momento, che il nostro punto di partenza saranno le cosiddette equazioni di Eulero (Navier-Stokes senza attrito) riscritte per l’atmosfera:

Queste andranno ulteriormente modificate e approssimate per ritrovare alcuni elementi di dinamica atmosferica.

Condizioni favorevoli per la formazione dei tornado in Italia: i risultati di tre studi recenti

Scritto da:
Roberto Ingrosso, UQAM (Università del Quebec a Montrèal)
Revisione di:
Leonardo Bagaglini, CNR-ISAC
Mario Marcello Miglietta, CNR-ISAC

I tornado, colonne di aria rotanti che si estendono da una nube cumuliforme sino alla superficie terrestre, sono tra i fenomeni atmosferici più violenti, in grado di affascinare e terrorizzare allo stesso tempo. Molti di noi hanno conosciuto per la prima volta questi fenomeni leggendo il Mago di Oz e le avventure di Dorothy, la protagonista del libro, che viene sbalzata via insieme al suo cagnolino e trasportata nel “Paese dei ghiottoni”. Negli ultimi anni, il successo di film come “Twister”, dove un gruppo di avventurosi scienziati cerca di captare i dati all’interno di un tornado con l’aiuto di Dorothy (un nome non a caso!), un macchinario di loro creazione, e i documentari prodotti dai cacciatori di tornado hanno accresciuto l’interesse dell’opinione pubblica nei riguardi di questi eventi vorticosi.

Sebbene i tornado siano spesso associati alle grandi pianure americane, questi fenomeni atmosferici sono abbastanza comuni anche nel continente europeo e nella nostra Penisola. Un recente aggiornamento della climatologia dei tornado italiani [1]ha mostrato come le zone maggiormente interessate siano le pianure del Nord-Est, le coste tirreniche e le regioni ioniche. Negli ultimi anni alcuni tornado particolarmente intensi, ad esempio quello di Taranto del 28 novembre 2012 [2] e quello di Mira e Dolo, nei pressi di Venezia, dell’8 luglio 2015 [3], hanno provocato milioni di danni e, purtroppo, anche delle vittime.

Nonostante questi fenomeni potenzialmente distruttivi siano frequenti sul nostro territorio, sono pochi gli studi scientifici pubblicati che hanno investigato le caratteristiche dei tornado italiani [4]. Nell’ultimo anno, con alcuni scienziati del CNR-ISAC, dell’Università del Salento e dell’Università di Tokyo, sono stati prodotti tre studi scientifici che permettono di chiarire meglio le dinamiche legate ai tornado italiani.

I dati utilizzati in questi studi provengono dalle cosiddette rianalisi, ricostruzioni dello stato dell’atmosfera e dell’oceano negli ultimi decenni, prodotte da modelli climatici e oceanografici supportati da osservazioni registrate, ad esempio, da stazioni a terra, da boe e satelliti.

Nel primo studio [5] è stata prodotta un’analisi dei tornado più significativi, ovvero di intensità uguale o maggiore a EF2 (per maggiori informazioni sulle scale e sulle differenti tipologie di tornado, leggi qui ), utilizzando due potenziali precursori di mesoscala, ovvero degli indicatori di ambienti favorevoli alla formazione di un tornado, il windshear verticale e l’energia potenziale convettiva disponibile (Convective Available Potentiale Energy, CAPE). Il primo è una misura della differenza (in intensità e direzione) tra il vento in superficie e il vento in quota, la seconda è una misura della quantità di energia potenziale disponibile per la convezione. I risultati di questo studio mostrano delle anomalie (ovvero delle differenze dalla media climatologica) significative di questi parametri, indipendentemente dalla stagione e dalla regione considerata, confermando di essere dei buoni precursori di tornado. La definizione di un modello statistico ci ha poi permesso di determinare come le probabilità di avere un tornado aumentino in maniera significativa con l’aumentare del windshear e sono massime quando anche CAPE registra valori alti. Definire un modello statistico di probabilità condizionali è utile per rispondere a una domanda importante, ovvero se i tornado aumenteranno in un contesto di riscaldamento globale, nel quale già oggi viviamo.

Un secondo studio [6] si concentra invece sulle caratteristiche dei cicloni extratropicali da cui vengono originati alcuni dei tornado italiani. L’analisi rivela che i tornado solitamente si verificano nel settore caldo, sul lato Sud del ciclone, mentre pochissimi sono i tornado lungo il fronte freddo. In autunno, una stagione più favorevole alla formazione dei tornado al Centro-Sud, gli alti valori di CAPE, associati a temperature ancora alte, e importanti livelli di umidità nei bassi strati, grazie all’evaporazione ancora intensa sul Mar Mediterraneo, garantirebbero un ambiente favorevole per la formazione dei tornado. In primavera e in estate, periodo in cui si verifica al Nord la maggior parte dei tornado, sarebbero invece le evidenti anomalie di vorticità potenziale nell’alta troposfera, con associate intrusioni di aria più fredda, a caratterizzare l’ambiente tornadico. In conclusione, sebbene i tornado italiani mantengano delle caratteristiche peculiari, gli ambienti in cui essi si sviluppano, specialmente nella pianura padana, presentano caratteristiche comuni a quelli del Sud-Est americano durante la stagione fredda.

In un ultimo articolo, appena pubblicato [7], si è quindi deciso di individuare, in maniera più rigorosa, le configurazioni sinottiche medie associate a diverse aree italiane e di allargare l’analisi dei precursori di mesoscala. Sono state infatti considerati anche la Storm Relative Helicity (SRH), una misura della potenziale rotazione associata alla convezione, rotazione che è alla base di una supercella, un temporale particolarmente intenso a cui sono spesso associati i tornado, e il livello di condensazione forzata (lifting condensation level, LCL), ovvero il livello nel quale la particella d’aria diviene satura e rappresenta una stima dell’altezza della base della nuvola (più basso è il valore di LCL, maggiore è l’instabilità presente nell’atmosfera e più intenso sarà il fenomeno).

Figura 1: le cinque regioni individuate per l’analisi. Figura riadattata da Bagaglini et al. 2021

Innanzitutto sono state individuate 5 macro regioni (Figura 1), sulla base della vicinanza spaziale e di una ulteriore analisi di similarità dinamica, basata sulla pressione media al livello del mare. Attraverso un’analisi di soglia sono state identificate cinque variabili sinottiche, particolarmente sensibili alle manifestazioni di eventi tornadici. Quello che è emerso è che l’altezza di geopotenziale(a 500 hPa) e la temperatura nei bassi strati (a 900 hPa) sono le due variabili più importanti nell’identificazione di configurazioni sinottiche relative ai tornado italiani. Mappe di anomalia (Figure 2-3) hanno permesso di rilevare come, in tutte le regioni considerate, le variabili sinottiche presentino generalmente valori anomali rispetto alla media climatologica. Anche i precursori di mesoscala presentano forti anomalie su tutte le regioni, in particolare su quelle meridionali, mostrando chiaramente come valori estremi di questi precursori siano associati agli ambienti tornadici. Questa prima analisi ha permesso di individuare delle configurazioni tipiche per le varie regioni italiane. Nel caso dei tornado avvenuti nel Nord, un sistema di bassa pressione al suolo è mediamente presente sull’area dove si è verificato l’evento, associato a una bassa pressione in quota presente a Nord-Ovest dell’area di interesse. Tale configurazione, oltre a suggerire una fase di maltempo in piena evoluzione (tipica instabilità baroclina con asse verticale piegato tra bassa pressione al suolo e in quota), determina il richiamo di aria fredda in quota proveniente dall’Europa continentale, andando a incrementare l’instabilità della colonna d’aria. La presenza di alti valori di umidità e CAPE (favoriti dalla stagione tardo primaverile ed estiva tipica dei tornado del Nord.

Figura 2: anomalie di altezza di geopotenziale a 500 hPa, calcolati per il periodo 1979-2018. Dati rianalisi ERA5.Figura riadattata da Bagaglini et al. 2021

Figura 3:anomalie di temperatura a 900 hPa, calcolati per il periodo 1979-2018. Dati rianalisi ERA5.Figura riadattata da Bagaglini et al. 2021

Al contrario, i tornado meridionali sono caratterizzati da un’intrusione di aria calda da Sud, risucchiata da sistemi di bassa pressione, generalmente posizionati sul basso Tirreno, nel caso dei tornado ionici, e tra Algeria, Tunisia e canale di Sicilia per quelli siciliani. Qui la presenza di valori anomali di windshear verticale (un parametro che presenta già valori elevati nella stagione tardo estiva e autunnale, quella tipica dei tornado centro-meridionali) e di umidità, che, dal Mar Mediterraneo, viene trasportata sul continente dai caldi venti meridionali, creano gli ingredienti ideali per la formazione dei tornado. Per le regioni centrali, le anomalie sono solitamente posizionate più lontano e meno evidenti. I venti al suolo, tipicamente sud-occidentali, quasi perpendicolari alla linea di costa, suggeriscono una tendenza alla formazione di linee di convergenza tipiche dei tornado non mesociclonici, in particolare trombe marine, alcune delle quali possono raggiungere la terraferma.

Un’ultima analisi ha poi riguardato le temperature superficiali del livello del mare (Sea Surface Temperature, SST, figura 4). Uno studio modellistico precedente [8], infatti, aveva rivelato come il tornado di Taranto non sarebbe avvenuto con temperature del mare nella media e che, quindi, anomalie positive della superficie marina potrebbero favorire la formazione dei tornado. Il nostro studio sembrerebbe confermare questa conclusione per quanto riguarda i tornado costieri meridionali, avvenuti in presenza di anomalie di SST importanti, fino a 1°C per quelli più intensi, e per quelli del Nord-Est, caratterizzati da anomalie di alcuni decimi di °C, in media. Ancora una volta, non si registrano particolari anomalie per i tornado tirrenici, cosa che sembrerebbe confermare ulteriormente l’origine non mesociclonica, legata alla presenza di linee di convergenza lungo la costa, dei tornado dell’Italia centrale tirrenica.

In conclusione, questi articoli ci hanno permesso di conoscere più nel dettaglio i tornado italiani, evidenziando le differenti e peculiari configurazioni sinottiche delle differenti regioni e confermare la bontà di alcuni precursori di mesoscala, suggeriti dalla teoria e dai risultati modellistici. Nel prossimo futuro si cercherà non solo di approfondire ulteriormente gli ambienti favorevoli ai tornado italiani, ma anche di provare a individuare delle eventuali tendenze (non solo per l’Italia) all’aumento o alla diminuzione dei tornado in un contesto di riscaldamento globale così rapido, come previsto dai modelli climatici.

Figura 4: anomalie medie di temperatura del livello superficiale marino durante gli eventi di tornado costieri per Nord-Est (rIga in alto), centro Italia lato tirrenico e Sud-Italia ionico. Dati da rianalisi ERA5. Figura riadattata da Bagaglini et al. 2021

[1]: Miglietta M.M. and Matsangouras I.T. 2018. An updated “climatology” of tornadoes and waterspouts in Italy. International Journal of Climatology, 38, 3667-3683.
[2]: Miglietta, M.M. and Rotunno, R. 2016. An EF3 multivortex tornado over the Ionian region: Is it time for a dedicated warning system over Italy. Bull. Am. Meteorol. Soc, 97, 337–344.
[3]: Zanini, M.A., Hofer, L., Faleschini, F., Pellegrino, C. 2017. Building damage assessment after the Riviera del Brenta tornado, northeast Italy. Nat. Hazards, 86, 1247–1273
[4]: Giaiotti, D.B., Giovannoni, M., Pucillo, A., Stel, F., 2007. The climatology of tornadoes and waterspouts in Italy. Atmospheric Research 83, 534–541.
[5]: Ingrosso, R., Lionello, P., Miglietta, M.M., Salvadori, G., 2020. A Statistical Investigation of Mesoscale Precursors of Significant Tornadoes: The Italian Case Study. Atmosphere 11, 301.
[6]: Tochimoto, E.,Miglietta, M.M., Bagaglini, L., Ingrosso, E., Niino, H. 2021. Characteristics of Extratropical Cyclones That Cause Tornadoes in Italy: A Preliminary Study.Atmosphere 12, no. 2: 180.
[7]:Bagaglini, L.; Ingrosso, R,Miglietta, M.M. 2021. Synoptic patterns and mesoscale precursors of Italian tornadoes. Atmospheric Research, 105503.
[8]: Miglietta M.M., Mazon, J.V., Pasini, A. 2017. Effect of a positive sea surface temperature anomaly on a Mediterranean tornadic supercell. Scientific Reports, 7.

L’INVERNO si avvicina? Impariamo a distinguere tra freddo, neve e gelo

“…Noi facciamo una netta distinzione tra il freddo, il gelo e la neve. Sono cose ben distinte ma molto spesso si fa confusione…”. Queste splendide parole, cariche di significato, non sono mie ma del generale Andrea Baroni che nel lontano 1985 si trovava anch’egli alle prese con il parapiglia mediatico nato attorno ad un’ondata di freddo imminente.

Un’ondata di gelo in Italia, tanto per dirla tutta, può avvenire soltanto in inverno (fatta eccezione naturalmente per vette montuose particolarmente elevate, soprattutto nelle Alpi). Questo perchè implica non solo una sensibile discesa delle temperatura, ma anche un assestamento della stessa su valori pari o inferiori allo zero nell’arco delle 24 ore per non meno di 2-3 giorni.

In Italia le ondate di gelo difficilmente sono accompagnate da nevicate di particolare rilievo, poichè quasi sempre si verificano per afflusso di aria continentale, quindi secca. Possono fare eccezione i versanti adriatici, dove il contributo di umidità da parte del mare può indurre a nevicate per sbarramento orografico da est. Il gelo non è contemporaneo ad una nevicata ma spesso la precede o la segue.

Abbiamo parlato di neve. Ebbene come vedete, la neve è un altro fenomeno ancora. Non è necessario avere il gelo affinchè possa nevicare, ma per contro, anche un’ondata di freddo potrebbe non essere sufficiente a generarla. Il freddo può essere secco o nevoso. Insomma, l’abbiamo capito tutti: il tempo è bello perchè è vario e sarà ancor più bello se eviteremo di dar credito ad ogni superficialità o equivoco letto o sentito, imparando a chiamare ogni fenomeno con il proprio nome.

Luca Angelini

Il problema degli INCENDI: una mano dalle proiezioni stagionali

Durante la stagione estiva (ma non solo) gli incendi boschivi rappresentano una concreta e grave minaccia per abitazioni, infrastrutture e anche per l’ecosistema, causano danni economici ingenti e, purtroppo, anche perdita di vite umane. Seppure la maggior parte degli incendi sia dovuta a cause umane, accidentali o volontarie, l’estensione dell’incendio – in particolare delle aree bruciate – dipende in modo significativo dalle condizioni meteo-climatiche e dalle caratteristiche del “combustibile”. Giocano un ruolo fondamentale in particolare il grado di umidità e l’abbondanza del materiale combustibile a disposizione.

Gli studi condotti negli scorsi anni hanno permesso di sviluppare una serie di modelli empirici che legano l’area bruciata dagli incendi alle caratteristiche della precipitazione e della temperatura nei mesi e negli anni precedenti l’incendio. I modelli sono stati validati sui dati disponibili in Europa mediterranea e in molte altre aree del Pianeta, utili per la stima dell’area bruciata attesa a livello globale. Lo spiega Antonello Provenzale, direttore del Cnr-Igg (Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche) che ha patrocinato un importante studio a riguardo. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Nature Communication”.

In pratica l’approccio combina l’utilizzo incrociato dei grandi database internazionali degli incendi in affianco alle proiezioni stagionali elaborate dai vari Centri di Calcolo, allo scopo di migliorare la stima dell’importante impatto esercitato sugli incendi dalla variabilità climatica. Dal confronto è emerso che per ampie regioni del pianeta si riesce a migliorare significativamente la predicibilità a scala stagionale delle aree a potenziale rischio d’incendio, con tutti i benefici del caso, anche dal punto di vista della prevenzione e della sicurezza pubblica.

Luca Angelini

Arriva la NEVE e scende il silenzio

Arriva la neve e tutto si ferma. Cessano anche i rumori, le grandi città mettono da parte il loro normale frastuono e si lasciano abbracciare da quella atmosfera ovattata che contribuisce ad accompagnare scorci inusuali. Angoli di quotidianità che diventano paesaggi remoti, grigi marciapiedi che escono dalla realtà per vestire la tela di un pittore.

L’atmosfera che crea la neve è unica, ma non è solo una suggestione: le nevicate abbondanti riescono a rendere tutto ovattato quasi surreale, ed il motivo è da ricercare nella fisica.

I fiocchi di neve sono leggerissimi, sia perchè l’acqua è uno dei pochi liquidi in natura che non raggiunge la sua massima densità allo stato solido (la raggiunge a quello liquido a +4°C), sia anche perché la struttura del cristalli di neve contiene molti spazi pieni d’aria. Per questo i fiocchi, a temperature sotto lo zero, cadono lentamente e quando si depositano a terra non si schiacciano ne si comprimono, ma si appoggiamo semplicemente l’uno sul’altro.

Proprio ai “vuoti d’aria” che ci sono nella neve dobbiamo il silenzio che percepiamo quando le nostre città sono innevate. La neve in sostanza fa da isolante, anche acustico. I rumori, che poi altro non sono se non onde sonore, vengono filtrati e assorbiti dallo strato di neve fresca: ne bastano 2 centimetri perché i rumori ambientali non si propaghino più nell’atmosfera.

La riduzione del rumore è molto più evidente subito dopo una nevicata, mentre tende ad attenuarsi man mano che passa il tempo e la neve perde la “freschezza”. La neve infatti, con il passare del tempo, va incontro a complessi processi di trasformazione che vanno man mano a chiudere gli spazi vuoti. Se le temperature rimangono basse la neve si comprime e diventa compatta, se salgono le intercapedini vengono riempie di elementi d’acqua: è l’inizio della fusione. E del ritorno dei rumori…

Luca Angelini

Se modelli matematici e sogni non vanno d’accordo

Siamo sinceri: molti sedicenti appassionati meteo – che in realtà sono semplici amanti del gelo e della neve, quelli che compaiono a settembre e spariscono a marzo – proprio non lo riescono a farsene una ragione. Fin qui non ci sarebbe nulla da dire, visto che sognare è lecito e fa anche bene all’umore; il problema però nasce quando l’onda lunga dei forum e dei social propina questi sogni in pubblico spacciandoli come realtà, salvo poi generare isterie collettive nel caso (quasi all’ordine del giorno) di smentite.

Il classico: partire dalla corsa operativa di un modello – prendiamo ad esempio il noto modello americano GFS – e tirar fuori quella che mostra uno scenario interessante a distanze siderali (si parla anche di oltre 300 ore, che sono quasi due settimane). Così nasce il sogno, poi però la realtà, man mano che passano i giorni, diventa ben altra cosa.

E allora si da contro i modelli,  magari senza neanche sapere che dietro quelle cartine colorate ci sono decenni di studi condotti e raffinati da valenti fisici, matematici, statistici. “I modelli sbagliano”. No signori, non sono i modelli che sbagliano, è il modo di adoperarli che è sbagliato. Un modello non ha anima ne sentimenti: un modello è un sistema di equazioni da risolvere. Le soluzioni sono sempre giuste, quelli che cambiano, di giorno in giorno, sono i dati di partenza, quelli del tempo che fa e che non è mai esattamente come lo si era previsto il giorno prima. Interpretare un modello fisico matematico non significa solo riconoscere dei colori, ma implica almeno la conoscenza dei complessi processi fisici della Sinottica e i principi base della Fisica. Una cosa non da tutti e che pertanto dovrebbe essere prerogativa di chi è abilitato a farlo.

In ogni caso, l’errore più comune è quello di prender per buona una singola corsa (detta deterministica) a grandi distanze temporali, ignorando tutte le altre parallele elaborate dal modello. Si, perchè il nostro modello GFS non elabora solo lo scenario operativo (la nostra corsa deterministica), ma nel sforna ben 22 parallele (vedi figura 3 qui sotto). Questo perchè, introducendo piccole varianti allo stato iniziale, è possibile by-passare per via statistica l’errore inevitabile che si genera nei calcoli (detto errore stocastico).

Un esempio concreto: Se prendo la sola corsa deterministica (P1) relativa al giorno 31 gennaio (sono 312 ore di anticipo) ho il quadro rappresentato nella figura 1 (in alto): alta pressione, tempo soleggiato e mite. E le altre 21 corse? Se ad esempio prendo la corsa P16, vedi figura 2, che è l’esatto opposto della P1 (vortice ciclonico, maltempo), cosa ho risolto? Quale delle due sarà quella corretta? Risposta: probabilmente nessuna delle due, perchè entrambe sono equiprobabili.

Probabilmente…. ecco la parola magica da utilizzare, la probabilità. Non si deve analizzare un solo scenario, ma mettere insieme tutti gli scenari, raggruppare quelli simili e constatare quanto sono probabili rispetto allo scenario medio. Un procedimento difficile da compiere “ad occhio”, vero. Fortunatamente esistono prodotti probabilistici già pronti, atti allo scopo che si devono utilizzare per esaminare l’evoluzione a distanze temporali oltre i 5-6 giorni, ma sempre mai oltre i 10-12 giorni. Procedendo in questo modo avremo quindi sott’occhio il quadro evolutivo più probabile e il livello di attendibilità dello stesso. Insomma un modo per sognare di meno vero, ma anche per evitare inutili perdite di tempo e soprattutto cocenti delusioni.

Luca Angelini

L’uragano Ophelia alle porte dell’Europa : un’ottima occasione per fare didattica.

Col permesso del Dott. Vincenzo Ferrara, abbiamo riportato sulla nostra home page un suo post  pubblicato su FaceBook, un post troppo prezioso per permettere che venisse “perso” nei meandri del noto social.

Un grazie al Dott. Ferrara per aver consentito la pubblicazione del suo post qui sulla nostra home.

L’uragano Ophelia sarà depotenziato da un principio della fisica: la conservazione della vorticità assoluta ovvero la conservazione del momento della quantità di moto.

Il vortice ciclonico “Ophelia”, classificato secondo la scala Saffir-Simpson, come uragano di categoria 2 , nel suo spostamento verso le alte latitudini perderà via via la sua vorticità ciclonica (acquisita sulle acque oceaniche calde tropicalie subtropicali) perché, in ossequio ad un principio della fisica (la conservazione del momento della quantità di moto): più il vortice ciclonico Ophelia si sposta verso nord e maggiore sarà la perdita della sua vorticità. E’ come dire che spostandosi verso nord non avrà alcune effetto da “uragano” e sarà indistinguibile da una qualsiasi normale perturbazione.

Questo principio della fisica stabilisce in pratica che:

– le masse d’aria che si muovono dalle basse verso le alte latitudini (da sud verso nord), devono diminuire la propria vorticità ciclonica oppure devono aumentare la propria vorticità anticiclonica: in pratica, devono acquistare una rotazione in verso orario,

– le masse d’aria che si muovono dalle alte verso le basse latitudini (da nord verso sud) devono aumentare la propria vorticità ciclonica oppure devono diminuire la propria vorticità anticiclonica: in pratica, devono acquistare una rotazione in verso antiorario.

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Qui una nota (didattica) esplicativa per i “non addetti ai lavori”

L’EFFETTO DELLA ROTAZIONE TERRESTRE SUI MOVIMENTI DELLE MASSE D’ARIA

La circolazione generale dell’atmosfera potrebbe essere schematizzata con un ciclo molto semplice, dal momento che il riscaldamento della fascia equatoriale, pur con le fluttuazioni giornaliere e stagionali, è persistente, così come persistente è il raffreddamento delle aree polari. L’aria calda equatoriale meno densa e più leggera sale in quota fino all’alta troposfera e si dirige verso le aree polari, scaricando via via il suo calore e raffreddandosi finchè diventata fredda, più densa e più pesante tanto da precipitare giù sulle aree polari. Nel frattempo, l’aria polare (artica ed antartica) fredda e più pesante scorre al suolo verso le basse latitudini, acquisendo via via calore mentre si dirige verso l’equatore, dove si scalda, diventata meno densa e più leggera, tanto da salire in quota per ricominciare il ciclo.

Nella realtà, invece, tutto ciò non accade. La rotazione terrestre, infatti, impedisce la formazione di questo circuito. Se, poi, si aggiungono tutte le altre complicazioni derivanti dall’alternarsi delle stagioni, dalla disomogeneità della superficie terrestre e dalla natura degli scambi di calore, la circolazione atmosferica diventa parecchio complicata. Per poterla schematizzare nella sua struttura di base, useremo alcune semplificazioni partendo dalla causa principale che determina le modifiche alla grande circolazione planetaria delle masse d’aria: la rotazione terrestre.

1) La velocità di rotazione terrestre ovvero la “vorticità assoluta”.

La rotazione della terra attorno al suo asse tracina nel suo movimento i continenti, le masse d’aria e le masse d’acqua oceaniche. La terra, vista dallo spazio, al di sopra del polo nord, ruota in verso antiorario con una velocità angolare di 1 giro al giorno (15° ogni ora, ovvero 0,26 radianti/ora). Tutto ciò che sta sulla terra, compresa l’atmosfera che è a contatto con la superficie terrestre, ruota con la stessa velocità angolare.

La velocità angolare terrestre è un valore costante, non cambia nel tempo e non può in nessun modo essere variata, a meno di un evento catastrofico planetario (per esempio per collisione con un altro pianeta o per cambiamento della forma e delle dimensioni della terra). Questa velocità angolare prende, infatti, il nome di “vorticita assoluta” dove il termine vorticità, che è un conceto della fisica, esprime lo stato rotazionale attorno ad un asse di rotazione. Se la rotazione ha il verso antiorario delle lancette dell’orologio, la vorticità viene detta “ciclonica” (o positiva), se, viceversa, ha un verso orario, la vorticità viene detta “anticiclonica” (o negativa).

Pertanto: LA VORTICITA’ ASSOLUTA TERRESTRE E’ COSTANTE ED E’ CICLONICA.

Guardando, ancora, la terra dallo spazio ci accorgiamo, però, che, nonostante la vorticità assoluta sia la stessa dappertutto, la velocità lineare o periferica con cui si muovono i diversi punti sulla superficie sferica della terra in rotazione attorno al suo asse è diversa e dipende dalla distanza dall’asse di rotazione terrestre (ovvero dipende dalla latitudine).

L’urgano Ophelia visto dal satellite

All’equatore, dove è massima la distanza della superficie terrestre dall’asse terrestre, la velocità periferica di rotazione, cioè la velocità con cui ruota suolo e masse oceaniche equatoriali, è pari a circa 1670 km/ora ed è diretta da ovest verso est, alle medie latitudini dell’Italia, il mar Mediterraneo ed il territorio italiano suolo e masse oceaniche ruotano da ovest verso est con velocità più bassa e pari a circa 1250 km/ora. Le zone artiche del circolo polare artico (ma lo steso accade alle zone antartiche) ruotano a velocità molto più bassa e pari a circa 650 km/ora da ovest verso est, mentre la velocità periferica si riduce praticamente a zero nei pressi dei poli. In pratica le zone polari ruotano attorno a se stesse.

Se, ora, dallo spazio scendiamo sulla superficie della terra, dove su ciascun punto della superficie terrestre il sistema di riferimento geogrtafico è costituito dal “piano orizzontale” perpendicolare alla forza di gravità (e al raggio terrestre) e dalla “verticale al piano orizzontale” che coincide con la direzione della forza di gravità (e del raggio terrestre), gli effetti della rotazione terrestre risultano molto diversi da luogo a luogo, soprattutto se i diversi luoghi hanno diversa latitudine cioè non sono allineati sullo stesso parallelo.

Oltre alla diversa velocità periferica sul piano orizzontale, come abbiamo visto prima, appare molto diversa, da luogo a luogo, anche la “VORTICITA’ ASSOLUTA” perché l’asse verticale, a cui si fa riferimento per i fenomeni di rotazione, cambia da luogo a luogo.

Nel sistema di riferimento geografico terrestre, infatti si parla di “VORTICITA’ TERRESTRE”, la quale è massima ai poli, dove la verticale sulla superficie orizzontale coincide con l’asse terrestre e dove, quindi, la “vorticità terrestre” coincide esattamente con la “vorticità assoluta”, mentre è minima all’equatore, dove la verticale sulla superficie orizzontale è perpendicolare all’asse terrestre e, dove, quindi la “vorticità terrestre” diventa inesistente.

Se paragoniamo ora la vorticità terrestre alla velocità periferica terrestre ci accorgiamo che dove la velocità periferica è massima (1670 km/ora all’equatore) la vorticità terrestre è minima (cioè nulla) e viceversa, dove la vorticità terrestre è massima (0,26 radianti/ora o 15°/ora ai poli), la velocità periferica terrestre è minima (cioè nulla).

2) La vorticità relativa influenzata dalla forza di Coriolis

Orbene, fintanto che tutto rimane fermo e solidale con la terra che ruota, tutto appare normale e nessuno nei diversi luoghi della terra si accorge di nulla, ma se ci sono spostamenti (abbastanza significativi) di un qualsiasi oggetto da un luogo ad un altro della superficie terrestre, gli effetti della rotazione terrestre si fanno sentire, sia che si tratti di un oggetto come proiettile di artiglieria di lunga gittata, sia che si tratti di un oggetto come una massa d’aria o una masse d’acqua oceanica. Gli effetti più evidenti, però, si osservano sui grandi movimenti che hanno una traiettoria prevalente di tipo meridiano cioè nella direzione nord-sud o viceversa.

Come abbiamo visto prima, un oggetto posto all’equatore viaggia, per effetto della rotazione terrestre, da ovest verso est alla velocità di 1670 km/ora. Se questo oggetto si sposta dall’equatore verso nord, la velocità periferica con cui viaggia la superficie terrestre diventa sempre più bassa. Alle nostre latitudini dove la velocità periferica è attorno ai 1250 Km/ora, l’oggetto proveniente dall’equatore, se non ci sono stati fenomeni di attrito che ne hanno rallentato la sua velocità periferica iniziale, ha un surplus di velocità di 420 km/ora cioè di oltre il 30% rispetto alla situazione esistente. Pertanto si trova in anticipo e molto più ad est rispetto al meridiano di partenza. Il risultato è una deviazione verso destra rispetto alla sua traiettoria iniziale. Se, invece, un qualsiasi oggetto si sposta in direzione sud dalle nostre latitudini verso l’equaltore (dove la velocità periferica è maggiore) si ritrova in ritardo e spostato verso ovest rispetto al meridiano di partenza. Anche qui il risultato è una deviazione verso destra rispetto alla traiettoria iniziale.

Gli effetti della rotazione terrestre di un qualsiasi oggetto, e quindi anche delle masse d’aria, in moviemto nel sistema di riferimento sferico rotante della terra, sono rappresentati, in fisica e in meteorologia, da una forza, detta forza di Coriolis (dal nome dello scopritore), che dipende dalla velocità della massa d’aria e dalla latitudine.

Questa forza, che non è reale ma “apparente” (perché appare solo nei movimenti in questo tipo di sistema di riferimento) costringe, in pratica, una massa d’aria che si sposta di latitudine a ruotare verso destra cioè ad assumere una vorticità anticiclonica, che diventa massima all’equatore e minima ai poli.

In genere, le massa d’aria che si muovono sulla superficie della terra, acquistano, o possiedono, per cause legate a processi termodinamici dell’atmosfera, una propria specifica vorticità ciclonica o anticiclonica, che viene denominata “VORTICITA’ RELATIVA” (ciclonica o anticiclonica).

Quindi nei movimenti meridiani delle masse d’aria (dalle basse alle alte latitudini e viceversa) è la “vorticità relativa” che subisce le modifiche (aumento o diminuzione di tipo ciclonico o anticiclonico) per effetto della forza di Coriolis.

3) Gli effetti della conservazione della vorticità assoluta.

Se consideriamo tutta l’atmosfera nel suo insieme, dove sono presenti numerosi e differenti processi di vorticità (ciclonica ed anticiclonica) delle masse d’aria alle varie scale spaziali dei fenomeni meteorologici, i principi della fisica ci dicono che la vorticità complessiva totale dell’intera atmosfera terrestre non può essere superiore alla vorticità assoluta della terra (la vorticità complessiva non si crea e non si distrugge).

Questo significa che la somma della “vorticità terrestre” e della “vorticità relativa” deve risultare pari alla “vorticità assoluta” nella libera tmosfera, dove i fenomeni di attrito sono trascurabili, oppure inferiore alla “vorticità assoluta” negli atrati atmosferici più prossimi al suolo, dove i fenomeni di attrito sono rilevanti. Ma questo significa anche che la variazione di vorticità relativa è correlata con la variazione di vorticità terrestre ed in particolare che nei movimenti meridiani (con cambiamento di latitudine) la vorticità relativa (ciclonica) aumenta quando la vorticità terrestre diminuisce e viceversa.

In definitiva, il comportamento delle masse d’aria, in movimento nella libera atmosfera terrestre, può essere sintetizzato come segue:

– una massa d’aria che si muove DA SUD VERSO NORD, procedendo dalle basse verso le alte latitudini, deve aumentare la propria vorticità anticiclonica oppure diminuire la propria vorticità ciclonica (in pratica, deve acquistare una rotazione in verso orario);
– una massa d’aria che si muove DA NORD VERSO SUD, procedendo dalle alte verso le basse latitudini, deve aumentare la propria vorticità ciclonica oppure diminuire la propria vorticità anticiclonica (in pratica, deve acquistare una rotazione in verso antiorario).

Poichè gli effetti della rotazione terrestre ed i comportamenti delle masse d’aria, nell’emisfero sud della terra, sono perfettamente speculari con quelli analoghi dell’emisfero nord, questa conclusione rimane identica, purchè si scambi il senso di rotazione attribuito alle vorticità, e cioè: la circolazione ciclonica ha verso orario di rotazione e la vorticità anticiclonica ha, invece, verso antiororario.

Dott. Vincenzo Ferrara – ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile)

Il downburst : genesi e dinamica, tecniche di monitoraggio, previsione e analisi meteorologica, confronto tra danni da tornado e da downburst

Il downburst è un fenomeno più comune di quanto si pensi, spesso confuso con il tornado consiste invece in forti raffiche di vento in discesa dal temporale associate in genere a intensi rovesci di pioggia e grandine con visibilità quasi nulla.
Questo lavoro analizza in particolare l’evento di downburst che il 10 agosto 2017 ha interessato parte dell’Emilia-Romagna, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia con raffiche che hanno sfiorato in più punti i 160 km/h, ma troverete anche l’analisi di eventi passati con numerose immagini radar, delle nubi e dei danni che permetteranno al lettore di acquisire importanti nozioni relative ad un fenomeno assai insidioso perchè non accompagnato da particolari segnali visibili ad occhio nudo.

A cura di Valentina Abinanti, Nicola Carlon, Francesco De Martin, Alberto Gobbi,Marco Rabito, Pierluigi Randi, Davide Rosa

Scaricate e salvate questo prezioso PDF (basta cliccare il link immediatamente sotto, 150 pagine di didattica pura.
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